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Per chiudere su Priebke: la rappresaglia e la qualifica di boia

Poche parole per chiudere su Priebke, partendo da alcune obiezioni fatte a cominciare da quella per cui la rappresaglia su civili, in caso di guerra irregolare, è prevista dalle leggi di guerra di quasi tutti gli eserciti del mondo. Verissimo. Ma questo non toglie che sia un crimine ed anche piuttosto stupido: non sempre la legge formale produce legittimità e scrimina comportamenti che restano moralmente inaccettabili e condannabili anche retroattivamente, come fu fatto a Norimberga.

E, dunque, anche se il diritto penale di guerra prevede l’uso della rappresaglia (in particolare su inermi civili), essa resta una misura criminale ed inutile. Il fine della rappresaglia è quello di mettere la popolazione di un paese contro gli eventuali guerriglieri, usando l’arma del terrore: non ha funzionato mai, sia perché una fascia più o meno ampia della popolazione resta sempre dalla parte dei guerriglieri (o partigiani che dir si voglia) sia perché l’azione, semmai, aizza sentimenti di maggiore odio verso chi la pratica.

Ma perché prendersela con i soli tedeschi, se questa è una misura che tutti prevedono nelle proprie leggi? Perché i tedeschi ne fecero uno largo e smodato in Russia, Polonia, Cecoslovacchia, Italia, Jugoslavia, Grecia… mente gli eserciti alleati ne fecero uso del tutto eccezionale.

Ma cosa doveva fare Priebke? Quello che riguarda la coscienza individuale ci interessa sino ad un certo punto e ciascuno se la vede nel suo foro interiore, a noi interessano i comportamenti collettivi, perché il dover obbedire a degli ordini non è di per sé un’esimente morale o, tantomeno, giuridica. Insomma, non mi verrete a dire che la responsabilità dei campi di concentramento e sterminio sia stata del solo Hitler o al massimo, del ristretto manipolo dei suoi cortigiani! Se i tedeschi, ed in primo luogo i soldati tedeschi non avessero eseguito docilmente gli ordini che venivano, non ci sarebbe stato alcun regime totalitario, né campi di sterminio e crimini di guerra. E, dunque, una parte di responsabilità di quei crimini è anche di chi ha accettato di eseguire quegli ordini. Ci sono momenti in cui si deve scegliere fra la resistenza morale al limite dell’eroismo o l’infamia e senza mezze misure: o di qua o di là. La colpa principale di Priebke era quella di far parte di una banda di criminali, il resto è stata solo conseguenza.

Nel merito della questione, Priebke (è comprensibile dal suo punto di vista) ha sempre protestato per la qualifica di "boia" attribuitagli, perché si rendeva conto di quanto sia disonorante per un soldato quella qualifica. Eppure, era esattamente questo: come potrete leggere in qualsiasi dizionario, il boia è chi esegue condanne a morte in forza di un ordine legale. E’ esattamente quello che lui ha fatto ed, appunto, che un soldato si riduca a fare il boia è cosa disonorevole. Certi compiti spettano alla polizia che non è un corpo combattente (per lo meno non è pensata per questo), oppure a specifici apparati che non abbiano compiti combattenti (poi la rappresaglia resta comunque un crimine chiunque la operi). Chi combatte deve astenersi da queste attività.

Per di più, l’uomo non ha preso le distanze dal suo comportamento ma, anche molto dopo i fatti, ha rivendicato la correttezza del suo comportamento, invocando il dovere di obbedire agli ordini. E non basta dire “fu una cosa terribile per noi”: se fu avvertita come una cosa terribile ma si dette lo stesso esecuzione, è peggio ancora perché vuol dire che si aveva la percezione morale del crimine e lo si fece lo stesso.

Quanto a Rosario Bentivegna, era un soldato dell’esercito italiano che combatteva dietro le linee (questa era la qualifica dei partigiani dopo il riconoscimento delle forze organizzate dal Cln dal legittimo governo italiano), come tale non aveva nessun obbligo di consegnarsi al nemico. La responsabilità della rappresaglia è sempre di chi la compie non di chi combattendo, può averla provocata. Salvo D’Acquisto non è l’esempio giusto: soldato assolutamente solo e non in grado di combattere, ha immolato la sua vita per salvare decine di civili incolpevoli. Lo ricordiamo come un eroe degno di tutta la nostra ammirazione, ma non c’entra con il caso del combattente dietro le linee.

I comunisti sapevano che la rappresaglia ci sarebbe stata e la volevano? Peggio ancora per i tedeschi che si macchiarono di un crimine, per di più facendo stupidamente il gioco dell’avversario (come dicevo prima sulla rappresaglia in quanto forma di lotta). Peraltro, non ho difficoltà ad ammettere che via Rasella fu un’azione di guerra sbagliata politicamente e moralmente, tanto è vero che tutte le altre forze del Cln ed anche Bandiera Rossa, che ne era fuori ed ebbe la maggior parte dei caduti, non furono affatto d’accordo con essa. Il danno militare per i tedeschi fu semplicemente nullo (fecero molto più effetto i sabotaggi ferroviari di Bandiera Rossa) e le conseguenze gravissime. Dunque, un errore, anche grave, ma non un crimine.

Detto questo, devo aggiungere che non mi è piaciuta affatto la dimostrazione di Albano, i calci al feretro, le proposte (più o meno paradossali) di buttare il corpo in una discarica o bruciarlo e disperderne le ceneri. C’è un principio per il quale la morte estingue la pena e lì ci si deve fermare. Chiunque – dico chiunque, compresi mafiosi, criminali di guerra, stragisti e mostri di tipo vario – ha diritto ad essere sepolto secondo le sue volontà. Qui non si tratta di dare un’estrema pena aggiuntiva, post mortem al boia della Ardeatine: questa è una prassi religiosa da alto medioevo (l’estremo interdetto che portò a disseppellire il cadavere di Papa Formoso per buttarlo nel Tevere nell’896). Anche Marat, dopo la fine del Terrore, fu disseppellito dal Panteon e gettato nelle fogne di Parigi. Sono gesti fanatici che non tolgono e non aggiungono nulla al giudizio sul defunto e, semmai, ricadono su chi vi ricorre.

Avevo avanzato la proposta di seppellirlo alle Ardeatine con una lapide adeguata che ne ricordasse le responsabilità e il disonore che esse avevano comportato, ma non per una sorta di gogna postuma, quanto per dare massimo risalto drammatico al contrasto suscitato dalla vicinanza fra l’assassino e le vittime. Lo scopo non era vilipendere un morto ma dare più forza di persuasione alla lezione che deriva da quell’episodio.

Certe reazioni non rafforzano la lezione morale dell’antifascismo, ma semmai la indeboliscono. Bisognava reagire alla manifestazione neo nazista? Si, ma quando si opera in situazioni così difficili è molto importante scegliere le forme giuste e mantenere la propria protesta sul piano più alto possibile. Prendersela con un feretro fa scadere il livello: bisogna evitarlo, proprio per rispetto ai caduti che si intende onorare.

Non è il caso di riprendere il dibattito su questo. Semmai, parleremo dell’approvazione al Senato della legge sul negazionismo che, lo anticipo, non mi trova affatto d’accordo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.72) 19 ottobre 2013 16:21

    Nel mondo ci sono centinaia di Boia che sotto un cappuccio nero o dietro una scrivania di Presidente uccidono in nome dello Stato, del Popolo, di Dio decine di persone all’anno L E G A L M E N T E se si può usare questo termine. Uccidere per legge non è legale per me e mi sembra molto più grave di quello che ha fatto il succitato. 

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