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Per chi suona la campana?

Per chi suona la campana?

Negli ultimi 20 anni, dalla caduta del muro di Berlino, nella psicologia delle masse si è formata una delusione profonda, quella del fallimento del comunismo, fino allora percepito come fattore di progresso e di riscossa, rivelatosi una dittatura della nomenklatura del partito, inamovibile, irriformabile, con le masse popolari passate dalla dittatura dei padroni a quella dei burocrati, senza decisive e storiche diversità.
Anche oggi la vita degli operai, dei minatori, dei contadini cinesi non è cambiata molto, e non gli è stato nemmeno detto ufficialmente che il loro paese non è più comunista, ma è diventato una potenza imperiale che vuole vincere sul mercato globalizzato, esattamente come i suoi competitori capitalisti.
 
L’ho presa un po’ alla lontana, ma se non si capisce che le parole socialismo e comunismo evocano un recente fallimento storico, una profonda disillusione, un grande scetticismo, non capiremo mai come in Italia le masse popolari si siano affidate al più antico dei poteri, quello padronale, che però resta un terreno conosciuto, tradizionale, che non richiede eroiche militanze, ma doti ben affinate come sottomissione e passività.
 
Berlusconi, malgrado i suoi sforzi, non è stato mai percepito come il nuovo, come uno che potesse cambiare la vita delle classi subalterne. E’ stato visto come il male minore, in quanto rappresentante diretto dei padroni e della Confindustria, a fronte di squallidi politicanti democristiani, socialisti e falsi comunisti, che avevano costruito una Casta di ladri, tangentari, politicanti di professione.
 
Tra l’altro considerare un monopolista mediatico, miracolato dal vecchissimo intreccio affari e politica, come il nuovo era operazione impossibile. Il suo partito divenne ben presto il ricettacolo di vecchi arnesi democristiani e socialisti e di tutti i miracoli promessi nulla si è visto. Dopo 15 anni il suo governo e la sua leadership appaiono alla luce di una nuova tangentopoli e sull’orlo di un fallimento, questa volta senza ritorno e senza appello.
 
Resta a galla solo perché non vi è una opposizione decente e riconoscibile con un programma che possa scuotere le masse dalla passività e dalla rassegnazione.
 
Se le elezioni si facessero domani, B. vincerebbe ancora perché anche il sano, limitato antagonismo di Di Pietro si è spento e una ammucchiata tipo Unione di prodiana memoria è impresentabile.
 
E’ più facile che abbia successo un nuovo partito (si fa per dire nuovo), sempre padronale e di destra, con a capo un Montezemolo o un Draghi, che tagli fuori la maggior parte dei vecchi politicanti e tangentari accolti nella cricca berlusconiana e si ponga fine a questo spettacolo di un Parlamento bloccato dalla difesa degli interessi personali e giudiziari del presidente, a fronte di una grave crisi economica, finanziaria e monetaria che ci bracca, e che richiede interventi quotidiani e tempestivi.
 
Credo che il reale presidente del PD, De Benedetti, trovi un ruolo per il suo partito solo in questo scenario, portando il PD in un governo di salute pubblica, senza più B. di mezzo, per fare riforme (quella elettorale per prima) e fronteggiare la crisi in un clima di unità nazionale.
 
Francamente non riesco a vedere un altro scenario possibile con le attuali forze in campo.
 
L’unico spazio nuovo nel panorama politico può essere quello di un partito che metta solennemente al primo posto l’obiettivo di piegare le convenienze della economia alla sostenibilità ambientale, che parli di un nuovo corso economico che ci assicuri indipendenza economica ed alimentare, e che questa ristrutturazione sia fatta nella direzione giusta, cioè quella di piccoli impianti di energia rinnovabile diffusi sul territorio, che portino benessere alle popolazioni, senza concentrazioni monopolistiche che si vedono nei parchi eolici o nella follia nucleare.
 
Finchè non si aprirà questo fronte, con persone e linguaggi nuovi, B. e i suoi compari possono dormire sonni tranquilli.

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