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Parigi, 12 gennaio: in marcia per l’assassinio impunito delle tre femministe

In marcia per Sakine, Fidan e Leyla, che hanno sputato in faccia ai macellai. E continuano (in molti Paesi) gli scioperi della fame di militanti curdi.

di Gianni Sartori

Anche i militanti curdi che sono in sciopero della fame a Strasburgo hanno aderito alla marcia parigina del 12 gennaio. Iniziativa con cui, nel sesto anniversario, si vuole ribadire che l’assassinio impunito delle tre femministe curde Sakine Cansiz, Fidan Dogan, Leyla Soylemez a Parigi (*) fu un crimine di Stato, un’azione di terrorismo istituzionale perpetrato dal governo turco.

Come ha sottolineato un loro portavoce, Dilek Ocalan: «Il movimento di liberazione ha acquistato ulteriore forza dalla lotta delle donne curde come la compagna Sara».

Nel loro comunicato i grévistes – cioè i militanti in sciopero della fame – rivolgono un appello a tutti i curdi in Europa per sostenere questa lotta e partecipare alla manifestazione di sabato a Parigi.

E’ ormai chiaro che il triplice assassinio del 2013 avvenuto nella sede del CIK (Centro di informazione Kurdistan) in rue La Fayette (una vera e propria esecuzione extragiudiziale, da squadroni della morte) era stato pianificato dai servizi turchi, dal MIT. Ed è altrettanto evidente – lo ha ribadito Dilek Ocalan – che l’atteggiamento dello Stato francese, quantomeno restio a far luce sul triplice omicidio, rischia di sconfinare in una sorta di «complicità nella politica genocida della Turchia».

«Con questo massacro – ha continuato Dilek – hanno voluto mettere alla prova la nostra volontà, il nostro impegno.hanno cercato di farci allontanare, dissociare dall’amore di Sakine e dalla costanza di Rojbin per la lotta, dalla speranza per il futuro di Leyla. Volevano annientare l’identità stessa del movimento di liberazione delle donne curde». Ma questo non è avvenuto. Il rigetto, l’indignazione per il massacro del 9 gennaio 2013 ha avuto eco mondiale e la lotta delle donne curde ne ha tratto ulteriore forza. In sostanza si può affermare che l’azione terroristica di rue Lafayette “si è rivelata un boomerang per il governo turco”.

Ricordando quanto era avvenuto fra il 2015 e il 2017 in Bakur (Kurdistan sottoposto all’occupazione turca) il portavoce ha voluto evidenziare quale sia la mentalità genocida dello Stato turco (definito senza eufemismi “fascista”): «Hanno raso al suolo le nostre città, bruciato i nostri giovani, mutilato i corpi delle donne combattenti, distrutto anche i cimiteri, bombardato i nostri guerriglieri con tonnellate di esplosivo, trasformato il Paese in una immensa prigione e seminato i germi della paura nel cuore delle persone. E adesso credono di poter sopprimere anche le richieste più umane e democratiche del nostro popolo con la scorciatoia della repressione. Tuttavia, non ci riusciranno. E questo perché nel nostro movimento ci sono compagne come Sakine Cansiz che hanno sputato in faccia ai macellai. Un movimento che si alimenta dello spirito di Hayri Durmus e di Kemal Pir (“Noi amiamo a tal punto la vita da essere disposti anche a morirne”). Un movimento di decine di migliaia di combattenti, donne e uomini, che hanno trasformato le montagne del Kurdistan in una fortezza della Resistenza».

E’ un fatto storicamente incontestabile: la lotta di migliaia e migliaia di partigiani curdi ispirati dal pensiero di Abdullah Ocalan (il dirigente curdo segregato a Imrali) ha consentito la salvezza, anche fisica, del popolo curdo destinato altrimenti a essere annientato. Ed è significativo che l’idea del Confederalismo democratico abbia saputo affascinare – dando una prospettiva di fuoriuscita possibile, realistica dall’oppressione statale e capitalista – anche molti arabi, armeni, siriaci, assiri, turcomanni. Non è solo una speranza, ma una convinzione: «Un giorno questa oppressione avrà fine, le autorità e i loro palazzi crolleranno (…)Coloro che si inchinano davanti alla tirannia, quelli che sono diventati ostaggi timorosi, finiranno nelle pagine dimenticate della Storia».

Dai grévistes è stata poi riaffermata la solidarietà con Leyla Guven – al 65° giorno di sciopero nella prigione di Amed (**) – e ribadita la volontà di non recedere cioè di proseguire, costi quel che costi, nello sciopero fino al raggiungimento dei loro obiettivi: in primis la fine dell’isolamento per Ocalan.

Oltre a Leyla – la cui vita è ormai a rischio – sono stati ricordati Nasir Yagiz a Hewler (Erbil) al 52° giorno; i 226 prigionieri politici al 27° giorno; Iman Shis a Galler (26° giorno) e ovviamente quelli di Strasburgo.

(*) vedi qui Per ricordare Sakine Cansiz e qui Terrorismo di Stato: ieri era Pretoria, oggi è Ankara

(**) in “bottega” vedi qui Donne in sciopero della fame nelle prigioni di Ankara e articoli successivi

Questo articolo è stato pubblicato qui

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