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Palermo: attacco a Cosa Nostra. Ricostruivano la Cupola e ...

progettavano un omicidio eccellente

Sono 99, per ora, gli arresti effettuati su ordine della Procura antimafia di Palermo. Stavano cercando di rimettere in piedi la "commissione" di Cosa nostra. Riemergono i "corleonesi" come guida.

Novantanove arrestati oggi dai carabinieri nel palermitano. Secondo gli inquirenti stavano ricostituendo la nuova «commissione provinciale» di Cosa nostra. Si tratta dell’organismo con il quale l’organizzazione decide le azioni da compiere e le strategie criminali da adottare. Centinaia le perquisizioni effettuate dai carabinieri in quasi tutta la provincia di Palermo. Ai 99 indagati, fermati su disposizione della Direzione distrettuale antimafia, vengono contestate le accuse di associazione mafiosa, e a vario titolo anche estorsione, traffico di armi e traffico internazionale di stupefacenti. L’operazione è stata denominata «Perseo». Alcuni centri della provincia di Palermo si sono svegliati "assediati" dai carabinieri, in particolare Bagheria e Belmonte Mezzagno, così pure alcune zone del capoluogo. Ma non solo. Perquisizioni sono in corso attualmente anche in Toscana e in altre regioni d’Italia.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, e dai sostituti della Dda Maurizio De Lucia, Marzia Sabella, Roberta Buzzolani e Francesco Del Bene, ha subito nelle ultime settimane un’accelerazione a causa del pericolo di fuga di alcuni degli indagati e per evitare un omicidio, già progettato.

Le intercettazioni hanno mostrato un quadro inquietante: gli investigatori hanno documentato, infatti, la decisione dei nuovi boss di procedere al ripristino, a 15 anni di distanza dall’arresto di Totò Riina, della Commissione provinciale.

L’inchiesta ha permesso anche di registrare «un’aspra e pericolosa contrapposizione» all’interno di Cosa nostra sulla nomina del futuro capo dell’organismo. Una contrapposizione che negli ultimi anni si è trasferita sul territorio attraverso attentai, atti di intimidazione, omicidi e casi di lupara bianca. «Sono stati ricostruiti - spiegano dal Comando Provinciale dei carabinieri di Palermo - gli attuali organigrammi dell’organizzazione mafiosa nel palermitano ed è stata così annientata la direzione strategica».
A capo della Commissione è stato posto, secondo gli inquirenti, Benedetto Capizzi, anziano boss di Villagrazia. Attorno a lui alcuni tra i nomi storici di Cosa nostra, da Gerlando Alberti a Gregorio Agrigento di San Giuseppe Jato, da Giovanni Lipari a Gaetano Fidanzati a Salvatore Lombardo, boss di Montelepre che, con i suoi 87 anni, è il più anziano degli arrestati.



Dopo lo sfaldamento dell’unitarietà del sodalizio mafioso di Cosa nostra causato dall’ondata di arresti eccellenti di Bernardo Provenzano prima e dei Lo Piccolo, poi, abbiamo assistito quindi ad un anno di processo riorganizzativo, di ricostruzione di equilibri e gerarchie. Perché Cosa nostra, per esistere come l’abbiamo conosciuta finora, ha necessità di un ordine e di un controllo assoluti.

Ridimensionato, almeno apparentemente, il ruolo di Messina Denaro, probabilmente in difficoltà dopo i numerosi arresti eccellenti che hanno colpito duramente la sua organizzazione economica negli ultimi mesi e anche per il confronto con i “corleonesi” e i loro affiliati nell’area di confine fra la provincia di Trapani e Palermo: ovvero nella zonda di Partinico e Borgetto dove regna, ormai, il latitante Domenico Raccuglia. «Certamente Messina Denaro - dice Grasso - ha avuto contatti con esponenti di Cosa nostra palermitana e da lui può essere partito l’impulso di riorganizzare Cosa nostra. Dal contenuto delle intercettazioni ambientali non risulta una sua costante e attuale regia, essendo una questione, quella della ricostituzione della commissione provinciale di Palermo, che spetta alle cosche palermitane». «Tuttavia non c’è dubbio - aggiunge il capo della Dna - che questa ’speciè di commissione che si doveva ricostituire non poteva non avere l’assenso di colui che aveva partecipato attivamente e direttamente alla strategia stragista del 1992 e 1993 dall’omicidio di Falcone e Borsellino agli attentati di Firenze, Roma e Milano».

Questa dichiarazione dimostra che è il vecchio ma mai disarticolato gruppo del potere corleonese che stava cercando di riunificare i clan sotto un’unica e carismatica direzione.

All’operazione hanno contribuito anche le dichiarazioni di tre penti. L’ultimo a saltare il fosso è stato Angelo Casano, estortore per conto della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi. Il 29 settembre scorso ha cominciato a collaborare con la giustizia. È uno dei tre pentiti che hanno contribuito all’inchiesta Perseo, che oggi ha portato al fermo di 99 tra boss e gregari di Cosa nostra. Prima di lui avevano deciso di lasciare le cosche Giacomo Greco, genero dello storico capomafia di Belmonte Mezzagno Ciccio Pastoia, fedelissimo di Provenzano, morto suicida in carcere, e Maurizio Spataro esattore del pizzo per la famiglia di Resuttana. I tre neocollaboratori hanno aiutato gli inquirenti a ricostruire la nuova mappa della mafia palermitana e a far luce su decine di estorsioni, traffici di droga e armi. Condannato in primo grado a 7 anni per estorsione, Casano fa i nomi dei vertici dei mandamenti palermitani, come Gaetano Lo Presti, conosciuto in carcere e subentrato a Nicolò Ingarao, ucciso nel 2007, alla guida del mandamento di Porta Nuova; racconta i summit di mafia organizzati in una macelleria del quartiere, confessa decine di danneggiamenti e taglieggiamenti ad esercizi commerciali e cantieri edili. Greco sceglie la strada della collaborazione per sottrarsi alla condanna a morte emessa nei suoi confronti dai cognati. I figli del boss Pastoia non avrebbero gradito le voci sui tradimenti subiti dalla moglie, messe in giro da Greco. Il pentito parla diffusamente di uomini e affari del mandamento, ma anche della gestione della latitanza di Provenzano, di omicidi ed estorsioni. Rilevante anche il contributo dato all’inchiesta da Maurizio Spataro, ex uomo della ’famiglia di Resuttanà. Da novembre scorso, sta raccontando, oltre alle estorsioni, traffici di armi e droga.

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