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Noi tutti, quali unico baluardo contro il coronavirus

All'attenzione di tutti 

Quelli fra noi che sono o sono stati gran fumatori sanno bene cosa vuol dire in alcuni momenti la mancanza di respiro, la dispnea ossessiva che cerca disperatamente una goccia di ossigeno che salvi dal boccheggiamento dei polmoni.

Chi no, faccia la prova e sospenda momentaneamente il respiro; pochi attimi, il venir meno dell’elemento vitale, il subitaneo ripristino della respirazione. Possibile questo perché è stato un atto volontario, di prova.

 

Proviamo ad immaginare, invece, la nostra esperienza momentanea come instaurazione permanente di uno stato patologico. Tutto si offusca, nulla del mondo è più presente, il corpo geme, vien meno, urge il soccorso, il pensiero corre anche alla divinità, alla quale magari non si è mai creduto. Ma nessuno, né qui in ospedale né nei cieli eterei può darci soccorso. Mancano i respiratori, sono già in uso a chi era nelle stesse condizioni. Altro non c’è. Chiuso.

 

Solo noi siamo i soldati sul campo di battaglia, a fronteggiare e a cercare di far arretrare il nemico invisibile.
Sicuramente questa è una di quelle poche volte in cui possiamo essere unici attori attivi, non spettatori passivi, come ci tocca sempre -anche non volendo- della politica, dei partiti, delle cose chi ci offendono.
Pascal (filosofo francese del XVII secolo), ci paragona a delle canne, che si piegano sotto la sferza della bufera ma non si spezzano: così noi, come canne pensanti che operano e tramandano il pensiero al nostro agire e ai posteri: “L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa. Non serve che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe comunque più nobile di ciò che l’uccide perché sa di morire e conosce il potere che l’universo ha su di lui, mentre l’universo non ne sa nulla.

 

Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero…impegniamoci quindi a pensare bene: ecco il principio della morale.”.
Già, la morale. Perché noi siamo nel mondo e necessariamente abbiamo rapporti con l’altro uomo ed ogni nostra azione o comportamento istituisce una fitta rete di relazione di corrispondenze e di causalità. «Strano, vero? La vita di un uomo è legata a tante altre vite» (l’angelo custode a James Stewart, nel film di Frank Capra “la vita è meravigliosa”).

 

Gli altri. Quando leggiamo che in qualche luogo e qualcuno ha imbracciato un fucile ed ha fatto una strage di persone che mai aveva visto in vita sua, pensiamo che orrore, ma cosa l’ha mosso e che diritto aveva di toglier la vita a quella povera gente?


Ma è quello che facciamo noi quando non osserviamo le prescrizioni che ci vengono ordinate per cercare di debellare questa epidemia.

 

Può darsi che non ci importi nulla di noi personalmente. Ma così facendo diamo l’infezione, la malattia e la morte ad una mole inimmaginabile di altre persone, di lutti e sofferenze ai loro parenti, togliamo possibilità di letti e di strumenti a persone che mai abbiamo conosciute ma che non sono estranei, sono l’altro che vive in noi e che aspetta che rispettiamo la sua vita.

 

Come giustificazione al nostro diniego magari adduciamo delle critiche, delle cose che non ci convincono. Certo, io ne ho tantissime di perplessità e dubbi.
Non ho però le conoscenze e la preparazione scientifica, potrò -perché anche nella scienza c’è un percorso di logica comune che ci mette davanti incertezze sulla correttezza di procedure, scelte ed operati- in un secondo momento avanzare le mie richieste di chiarimenti ad alta voce.

 

Ora no, c’è un tempo per parlare ed un tempo per ottemperare.
E questo è quel tempo. E ce lo dicono i morti, il soffocamento degli ospedali, l’angosciante avanzata dell’epidemia, e i segni della stanchezza del personale medico tutto, segni di cui vediamo la traccia sui loro volti e nella disfonia (voce).
In caso di comportamento non osservativo della norma cautelativa, a seguito dei nostri dubbi ipotetici senza fondamenti, faremmo come il Don Ferrante dei “Promessi sposi”, il quale, visto che ai suoi tempi non erano conosciuti microbi e batteri, «aveva ragione di negare sillogisticamente la peste».
Seguace ossessivo della corrente aristotelizzante, egli negava ostinatamente l’evidenza della peste, in quanto non c’era nessuna categoria (logica) che la contemplasse.
«non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l’uno né l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera», (Manzoni).
Don Ferrante dava credito alla logica del ragionamento, che, se corretto, era in grado a pieno titolo di spiegare la realtà, cadendo in un inesistente isomorfismo fra il piano logico di pensiero e quello della realtà reale.
Ironia della sorte, egli fu il primo ad essere ghermito dalla falce della peste.
In questo momento buio io vi invito alla tutela del bene più prezioso per tutti noi a che si possa erIgere una barricata comune, nello spirito del "tutti per uno, uno per tutti"

Foto di Free-Photos da Pixabay 

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