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Mutilazioni genitali. La fede incisa, sui corpi e nelle menti

Nelle scorse settimane una diciassettenne è morta in Egitto a causa di un’infibulazione finita male: benché sia vietata dalla legge, la pratica è comunque diffusa (e, nel caso specifico, effettuata in una clinica). Non si faccia però l’errore di pensare che vicende del genere sono circoscritte a un paese lontano, ritenuto magari anche arretrato e incivile. 

A casa nostra, a Torino, un neonato figlio di migranti ghanesi è morto pochi giorni fa dopo una circoncisione praticata da un saldatore, pagato cento euro per la sua prestazione. La difesa si appella ora al “libero esercizio della fede religiosa”. Nel frattempo, sempre a Torino, un bambino figlio di migranti marocchini è stato salvato per un soffio da un’altra circoncisione improvvisata.

La famiglia non ha ancora fornito alle autorità il nome del “chirurgo”. Dal canto suo Hassan El Batal, presidente marocchino dell’associazione che gestisce la moschea di corso Giulio Cesare, non ha trovato di meglio che chiedere che la Regione si faccia carico delle spese, praticando circoncisioni gratis negli ospedali pubblici. Rilanciando dunque un progetto che già dieci anni fa fu bocciato, in primis, proprio dai medici torinesi, con provocazioni varie a corollario.

“Basta rischi”, ha affermato El Batal. Come se si stesse affrontando la piaga dell’aborto clandestino per cercare di renderlo “sicuro e legale”. A scanso di equivoci, va ricordato che non solo le fondamenta della rivendicazione sono completamente diverse (i diritti riproduttivi nel caso dell’aborto, la libertà religiosa — forse — nel caso della circoncisione), ma vi traspare anche un certo fraintendimento di cosa implica il diritto alla salute. È un dovere dell’ospedale salvaguardare la salute di una donna dopo che ha scelto di interrompere una gravidanza, così come è un dovere dell’ospedale salvaguardare la salute di un bambino dopo che una circoncisione fai-da-te ha messo a rischio la sua vita. C’è però una differenza sostanziale: la donna non ha scelto di volere un figlio, mentre i genitori vogliono che il figlio sia circonciso.

Le strutture sanitarie pubbliche non possono tuttavia essere obbligate a svolgere gratis una pratica, basata su una precisa volontà personale, soltanto per evitare che, per risparmio o per pressappochismo, qualcuno vada incontro alla morte. Alla stessa stregua, negli ambulatori si dovrebbero incidere gratis i tatuaggi e consentire di accedere senza costi alla chirurgia estetica perché in alcuni casi si sono verificati dei decessi. Estremizzando il concetto, lo Stato dovrebbe dunque mettere a disposizione dei cittadini siti sicuri per la pratica del bungee jumping, o regalare loro airbag?

Ma c’è un’altra differenza fondamentale: la responsabilità è personale, ma le mutilazioni genitali vengono praticate su minorenni. Al loro diritto alla salvaguardia fisica non pensa nessuno. O, meglio, ci ha pensato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia che, all’articolo 24, impone che “gli Stati parti adottino ogni misura efficace atta ad abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute dei minori”. È stata ratificata anche dall’Italia, ma il Vaticano e numerosi paesi a maggioranza islamica hanno opposto riserve motivate su base religiosa. Lo stesso Consiglio d’Europa, nell’ottobre 2013, ha approvato una risoluzione che considera la circoncisione una violazione dell’integrità fisica dei minori, suscitando le critiche di Turchia e Israele. Perché sono proprio gli stati confessionali a proteggere le pratiche tradizionali pregiudizievoli per i minori.

Che sono diffusissime. Sono duecento milioni, secondo l’Onu, gli essere umani di sesso femminile che hanno sofferto di mutilazione genitale. I circoncisi saranno circa un miliardo e mezzo, quanti sono i musulmani e gli ebrei. Cifre peraltro in crescita, perché in crescita è la popolazione nelle aree dove sono praticate. Senza che al neonato, al bambino o al ragazzo sia riservata alcuna possibilità di scelta: a chi, da adulto, soffrirà dell’amputazione non resterà — se avrà i mezzi per pagarsela — che la foreskin restoration.

Le donne dovranno invece rassegnarsi a convivere con la depressione e i disturbi post traumatici da stress. Ma soltanto quelle che non arderanno dal desiderio di far replicare la mutilazione sulle proprie figlie. Che sono poi la maggioranza, in certi contesti. Eppure, accanto a loro esistono anche genitori che non vorrebbero proprio praticarli, certi riti, ma finiscono per farli ugualmente perché subiscono le pressioni delle famiglie e delle comunità a cui appartengono. Quelle stesse comunità che procurano scarificazioni e menomazioni, per tacere della suzione rituale del pene e, ovviamente, degli abusi sessuali nelle strutture religiose. È nota la frase dell’estremista cattolico Joseph De Maistre: “dateceli dai cinque ai dieci anni, e saranno nostri per tutta la vita”. In realtà vogliono appropriarsene ben prima: a otto mesi come a sette giorni. Anche della loro mente, così che quando saranno a loro volta genitori potranno tramandare ai loro figli tutte queste discutibili attitudini.

Anni fa le Acli proposero di dare il voto anche ai minorenni, delegando però tale incombenza alle madri, notoriamente più devote. L’autore della proposta “un figlio, un voto”, Luigi Bobba, è oggi sottosegretario (come peraltro anche il suo successore Andrea Olivero) e deputato Pd, partito per il quale è responsabile del “progetto sussidiarietà”. La secolarizzazione avanza, ma per avere leader religiosi e politici familisti che antepongano la crescita dell’autonomia di pensiero e della libertà di scelta dei bambini occorreranno decenni. Se non secoli.

Raffaele Carcano, coordinatore culturale Uaar

Questo articolo è stato pubblicato qui

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