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Musacchio: occorre lottare le mafie a livello europeo, non si può più aspettare

Lei è un autorevole studioso di criminalità organizzata se ne occupa anche a livello internazionale – le chiedo senza mezzi termini – possibile che quasi nessuno si è accorto della transnazionalità delle nuove mafie?

Il concetto di criminalità organizzata transnazionale non è facilmente determinabile poiché non esiste nessuna definizione né in diritto penale tantomeno in criminologia. Le organizzazioni criminali transnazionali, inoltre, differiscono sostanzialmente l’una dall’altra per struttura organizzativa, tipi di attività, dimensione ed estensione territoriale. Nonostante questa carenza sul concetto di criminalità organizzata transnazionale, diversi elementi peculiari sono evidenti nelle mafie di tutto il mondo. In primis, tali organizzazioni criminali commettono reati utilizzando la violenza laddove non riescono a imporsi mediante l’uso di strumenti corruttivi. I gruppi criminali, inoltre, operano sempre sotto la direzione di leader (boss o capi mafia) e sebbene siano ben organizzati, la loro struttura è parzialmente permanente e muta soprattutto quando il gruppo opera fuori dal proprio territorio di pertinenza. La criminalità organizzata transnazionale agisce attraverso una rete di gruppi omogenei collegati tra loro in pieno regime di solidarietà, complicità e ferreo ordine gerarchico. Le associazioni criminali transnazionali sono attive in una molteplicità di campi che vanno dalle frodi bancarie, alla criminalità informatica, dal traffico di droga, merci o persone, fino all’accaparramento di fondi statali.

In Germania, una della nazioni pilota dell’UE, il presidente del tribunale di Costanza pare abbia detto che non gli interessava se qualcuno degli imputati potesse appartenere alla mafia perché secondo la legge tedesca non è rilevante. Non le sembra grave?

Non grave, gravissimo! Non è, tuttavia, colpa del presidente del tribunale anche se un’affermazione simile non la condivido detta da un magistrato. In Germania non esiste il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso. Per cui, anche se nel processo si sono portate prove evidenti dei legami mafiosi, in Germania non è possibile determinare l’appartenenza a una associazione mafiosa o meno. Questo come è facile intuire è un grosso limite che purtroppo non esiste solo in Germania.

Ma lei come se lo spiega?

Per come conosco l’ordinamento penale tedesco questa è in genere la tendenza dei tribunali. I giudicanti preferiscono concentrarsi solo sui reati spia consumati in Germania e non sui reati commessi all’estero.

Questo avviene solo in Germania?

Assolutamente no. Le mafie mondiali hanno saputo sfruttare al meglio gli effetti negativi dei processi di globalizzazione ampliando le loro reti d’influenza e di potere in ogni parte del mondo. Le attività illecite delle organizzazioni criminali prosperano proprio come quelle legali e vanno dai progressi tecnologici nel settore dei trasporti fino alle telecomunicazioni. Sussistono addirittura collegamenti diretti tra progresso tecnologico e liberalizzazione economica. La rimozione di ostacoli al commercio internazionale di merci e il libero flusso di fondi ha inoltre facilitato i traffici illeciti transfrontalieri delle mafie. Le stesse, attualmente hanno accesso a tecnologie all’avanguardia (aerei, sottomarini, droni) per trafficare droga, esseri e organi umani. Utilizzano, inoltre, complesse operazioni finanziarie e informatiche (da ultimo i bitcoins) per il reimpiego di denaro sporco in attività lecite. Mentre ci occupiamo delle mafie a livello nazionale, il potere del crimine organizzato transnazionale è cresciuto drammaticamente mettendo in crisi, in alcuni casi, le fondamenta democratiche di alcuni Stati (es. Sudamerica). Uno studio effettuato dalla Columbia University di New York ha stabilito che il giro d’affari della criminalità organizzata transnazionale è di circa il 15 percento del PIL mondiale (personalmente ritengo che la cifra sia notevolmente superiore). Il crescente problema della transnazionalità delle reti criminali organizzate, di conseguenza, dovrà stimolare le nazioni a cooperare mediante strategie preventive e repressive congiunte. Il lavoro a livello internazionale sin qui svolto non è sufficiente.

Come porvi rimedio?

Occorrono riforme europee efficaci per affrontare le nuove sfide della new economy. Ogni singolo Stato – direttamente o indirettamente interessato – dovrà ristrutturare le istituzioni coinvolte nella lotta alle mafie e si dovranno inevitabilmente rivedere le modalità di cooperazione sia a livello bilaterale sia in un contesto globale. Mentre le mafie si evolvono continuamente, gli Stati restano immobili, con burocrazie elefantiache, gerarchie spesso inutili e lente nel prendere decisioni contro le mafie che al contrario sono molto agili, collegate in rete, molto flessibili e soprattutto sono in grado di rispondere rapidamente ai mutamenti economici, politici e sociali in atto. Saranno necessari nuovi organismi istituzionali che comportino la partecipazione anche di “attori” non statali. C’è bisogno di nuove istituzioni nazionali con vocazione “internazionale” e con incidenza nell’economia e nei mercati finanziari mondiali. Lo Stato non può più ignorare le nuove sfide del crimine globale che provengono soprattutto dalle infiltrazioni nel sistema economico e finanziario. I moderni processi di globalizzazione hanno fornito opportunità per l’espansione mondiale di attività legali, ma al tempo stesso hanno contribuito a incrementare anche le attività illegali. Le Nazioni devono trovare efficaci strategie di controllo dell’economia illegale che ruota intorno alla criminalità organizzata transnazionale. L’armonizzazione delle legislazioni nazionali è soltanto una delle sfide da affrontare al più presto. Ma a essa non potranno non aggiungersi nuove regole del mercato globale. Se la situazione è questa, senza interventi in ambito europeo e internazionale sulle economie occulte e sui paradisi fiscali, a cominciare dalla rottura delle relazioni economiche e dagli embarghi finanziari non si va da nessuna parte poiché si combatte la “guerra” con armi spuntate.

Quale consiglio si sentirebbe di dare a chi lotta le mafie a livello transnazionale?

Sono uno studioso e non un operativo, tuttavia, sono convinto che le azioni congiunte tra le istituzioni che lottano le mafie funzionino bene perché superano le frontiere e si scambiano materiale investigativo utile per gli sviluppi delle indagini. Occorre sempre coinvolgere le persone giuste e motivate. La lotta alle mafie è logorante e dura. Io studio questi fenomeni da quasi trent’anni e ogni giorno che passa imparo cose nuove.

In Europa come siamo messi per affrontare il problema della criminalità organizzata transnazionale?

Direi non bene. Il Parlamento europeo è ancora oggi immobile poiché la maggioranza dei membri rifiuta di affrontare il problema o lo fa nei termini e nei modi sbagliati. Il compito delle autorità giudiziarie e di polizia degli Stati membri è lottare le mafie a livello nazionale e quando operano all’estero. In Europa, però, manca la comprensione di come si deve combattere la mafia e il problema si acuisce laddove le mafie si stanno imponendo sulla società civile, sull’economia e sulla politica. I gruppi criminali organizzati prosperano favoriti da procedure burocratiche farraginose e da assenza di normative idonee a far fronte alle continue trasformazioni mafiose. I diversi sistemi giuridici di ciascuno Stato membro devono essere più omogenei e le autorità giudiziarie devono poter collaborare per evitare situazioni in cui i criminali possono essere condannati in un Paese ma assurdamente assolti in un altro. Attualmente, mi dispiace dirlo, siamo indietro in termini di comprensione e sviluppo di una strategia europea coordinata per combattere le mafie italiane in Europa di almeno dieci anni. Occorre recuperare il tempo perso prima che sia troppo tardi!

Ma com’è questa nuova mafia come nei film che vediamo in tv?

No! I membri dei nuovi gruppi criminali organizzati, sono laureati ed esperti, sono bravi a sfruttare le opportunità commerciali estere e approfittano dell’immobilismo europeo. Mi chiedo spesso quanti tra i tanti bar, negozi e ristoranti non siano altro che proprietà del crimine organizzato sparse tra i vari Stati membri dell’Unione europea.

Parliamo di droga. Ritiene che la guerra alla droga in Europa sia efficace?

Direi di no visto che i dati ci dicono che stiamo assistendo a un’inondazione di cocaina in Unione europea come mai prima d’ora. Io sono favorevole alla liberalizzazione condizionata, anche per motivi di salute. Attualmente c’è sul mercato molta droga, così come la stiamo affrontando questa è una lotta contro i mulini a vento.

Come renderla più efficace?

Per noi italiani è più facile basta seguire la strada tracciata da Giovanni Falcone e cioè la strada del denaro. Questo non accade in Europa. Gli strumenti ci sono, ma occorre anche saperli usarli. E questo comporta un impegno forte. C’è bisogno di nuovi organismi europei e di persone motivate e formate nella lotta agli stupefacenti. La moneta elettronica aiuterebbe.

Che ruolo può avere la formazione nella lotta al crimine organizzato?

Direi che è determinante soprattutto per l’aspetto transnazionale dell’attività di investigazione. Occorre istituire al più presto la Procura antimafia europea, c’è Eurojust come organo europeo di coordinamento delle indagini ma è del tutto insufficiente. Un’adeguata formazione di vari paesi europei sarebbe uno strumento importante.

Come mai si è sempre occupato di studi sulle mafie?

Ho cominciato con la mia tesi di laurea in diritto penale che si occupava di appalti e normativa antimafia poi ho conosciuto il giudice Antonino Caponnetto e con lui ho girato in molte scuole d’Italia per parlare di mafie e per ricordare la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Poi è arrivato l’insegnamento universitario e la ricerca in Italia e all’estero.

Foto: Pexels

SULLA PERSONA

Il Dr. Vincenzo Musacchio è nato a Termoli (in Molise) giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark negli Stati Uniti d’America. E' ricercatore e analista dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

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