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Morti bianche, lo stillicidio nel silenzio

Ai funerali di Emile Zola, che si svolsero nel 1902 al cimitero di Montmartre a Parigi, partecipò una delegazione di minatori proveniente da Denain, cittadina del distretto minerario del nord della Francia.

La delegazione accompagnò il feretro scandendo in coro "Germinal, Germinal", rendendo così omaggio al suo romanzo-testimonianza sulle condizioni di sfruttamento dei minatori di carbone nella seconda metà dell’800. Per scriverlo Zola si era documentato di persona, scendendo nel fondo delle miniere e visitando i villaggi minerari francesi.

Da allora la parola “Germinal” è diventata il simbolo della denuncia delle condizioni di vita, di lavoro, di rischio dei minatori. La parola fu scelta con riferimento a un episodio di protesta e di lotta delle masse parigine durante la Grande Rivoluzione, avvenuto il 12 Germinale dell’anno III (1795).

Quasi un secolo e mezzo è passato dalla denuncia di Zola, ma per molti lavoratori le condizioni di molte miniere, campi e cantieri, la sua denuncia è sempre attuale.

Non ce l'ha fatta l'operio investito lo scorso giovedì da un muletto nel mercato ortofrutticolo di Brescia. È morto dopo due giorni di agonia. Vincenzo Mari, 63 anni, aveva battuto con violenza la testa sull'asfalto, perdendo conoscenza, ed era stato ricoverato prima all'istituto ospedaliero Poliambulanza, dove era stato sottoposto ad un intervento chirurgico, poi all'ospedale di Manerbio. Qui, ieri sera, è morto.

L'ennesimo caso, di certo non l'ultimo. Mille morti all'anno in Italia, quasi sempre relegati a pagina 22 dei quotidiani nazionali, quando decidono di parlare della cosa. E dire che non è passato tanto tempo dalla tragedia di Barletta, in cui morirono cinque ragazze travolte dal crollo di una palazzina. Nel sottoscala, dove le vittime lavoravano "in nero". E come dimenticare poi i sette operai morti bruciati vivi nel 2007 nel rogo della Thyssen-Krupp?

Prima pagina e titoloni, invece, quando muore un militare in guerra.

E' davvero incomprensibile il perché la nazione, sotto la strombazzante cassa di risonanza dei media, si stringa sempre attorno ai propri militari caduti, e ciò non avvenga anche quando muore un operaio.

Peraltro è più normale restare feriti in guerra piuttosto che morire in fabbrica.

Eppure le morti, le ustioni gravi, i ferimenti che sono luoghi comuni nei cantieri italiani continuano nel silenzio delle istituzioni e dei media.

Se uno va in fabbrica, per mille euro al mese, e perde una gamba o addirittura perde la vita perché gli impianti non sono sicuri, deve diventare un caso nazionale. Ma non lo diventa.

Perché?

Commenti all'articolo

  • Di Renzo Riva (---.---.---.133) 5 dicembre 2011 23:52
    Renzo Riva

    Non si preoccupi Libonati; ancora un poco e conosceremo anche forme nuove di schiavitù.
    Se ne ricordi di scrivere quello che accade a Prato, meglio sarebbe dire accadeva, dove i cinesi erano sottoposti a turni di lavoro impossibili.
    Gente informata mi ha detto che pure i cinesi se ne stanno scappando dal tessile italiano.
    Lei ha mai letto qualche reportage o inchiesta sulla loro condizione?
    Provi a pensarci e se non è ideologicamente prevenuto arriverà da solo a darsi le risposte e senza scomodare Germinal.

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