• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Miss sixty: il culo di Belen Rodriguez al posto degli operai

Miss sixty: il culo di Belen Rodriguez al posto degli operai

“Me lo tengo stretto questo catalogo, questa abito grigio, quest’altro a quadri bianchi e neri – me li indica mentre sfoglia con gli occhi lucidi le pagine -sono gli ultimi che ho cucito. Ho dato l’anima per questa azienda! Hanno portato via tutto dall’Italia”

Un’operaia Miss Sixty sfoga così la sua collera, delusione, esasperazione dopo un anno di patto di solidarietà e quattro mesi di cassa integrazione. Poi continua “Me lo ricordo ancora il discorso di fine anno di Hassan, uno dei soci, parole proiettate verso il futuro, rassicurazioni sulla ripresa e lavoro. a distanza di un anno non c’è nemmeno la certazza della cassa integrazione fino al 31 dicembre”

La realtà si discosta sempre dalla teoria: su 445 lavoratori, è prevista la cassa integrazione per 300 unità (comprese le categorie protette) e 130 sono in mobilità volontaria dopo che l’azienda comunica l’imminente chiusura per trasferirsi in Cina. Rimane anche qualcosa di volontario (sic!). Nell’est il costo complessivo di una t-shirt di Killah (uno dei marchi acquisiti dalla Sixty) è dì € 1,50/2,00, un capospalla 11 euro (qualità più scadente e prezzo al pubblico invariato).

Renato Rossi, un altro socio, dà la colpa alla crisi: “Il fatturato nel 2008 era di 452 milioni, nel 2009 di 359 e nel 2010 di 292 milioni” In questi anni l’azienda ha debuttato anche nel campo della bigiotteria, forse a molte teen-ager è sfuggito, non è stato un successone, a mio gusto la linea era orribile".

Oltre ai fiaschi ci sono una serie di punti interrogativi, mi sono recata nella sede della Miss Sixty a Chieti Scalo, nonostante la maggior parte degli operai siano a casa, il parcheggio è pieno, c’è un via vai di persone, molto giovani, chiedo e mi viene detto che ogni giorno si fanno colloqui di lavoro nei piani alti per la mansione di stagisti.

La voce di corridoio è che in Italia dovrebbe rimanere soltanto il commerciale ed il marketing, quest’ultimo dev’essere il cervellone delle ultime campagne pubblicitarie che hanno come testimonial il culo di Belen Rodriguez.

Per chi non fosse riuscito a somigliarle con la collezione estiva, può tentare la fortuna con quella invernale. In molti si sono chiesti a quanto ammonta il cachet della soubrette, nessuno parla, a differenza del costo di un operaio, definito troppo oneroso, ma che difficilmente sfora i mille euro al mese.

E se invece del solito Vip a fare da spot, avessero scelto lavoratrici/lavoratori con lo slogan: “Questo mio paio di jeans potrebbe essere il tuo”?

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di illupodeicieli (---.---.---.198) 28 ottobre 2011 12:55

    Quando vengo a sapere cose del genere, mi viene in mente il caso Omsa, suggerisco sempre di usare le mani e verificare se ciò che si acquista è fatto in Italia oppure no. Se sì e me lo posso permettere, mi serve e ne ho bisogno, lo compro. Se posso faccio una verifica per sapere se è davvero made in Italy oppure l’etichettatura è falsa, riporta false indicazioni. Purtroppo i nomi della moda, ma potrei parlare ,perchè lo frequento, del mondo dell’arredamento, spesso sono, appunto, solo nomi, firme, e la produzione è delocalizzata o,come potrebbe suggerire qualche servizio tv, qui da noi cuciono solo l’etichetta per darle il giusto pedigree. Come con il bestiame, la carne, è sufficiente che stia qui alcuni giorni per essere naturalizzata italiana. Quanto ai soldi di Belen dipende se avrà anche dei diritti sui prodotti oppure è solo testimonial del catalogo. Nomi tv so che ,nell’arredamento almeno, hanno preso 100/150 mila euro più la percentuale sul venduto e non so se, in caso di presentazione,fiere o eventi, abbiano partecipato gratis oppure no. La mia preoccupazione è per i lavoratori di questa e altre aziende, turlupinati da queste persone , i titolari, che troppo spesso sono attaccati solo al denaro e a studiare il modo per raggiungere quel solo obiettivo. Ora non comprare più prodotti fatti fuori dall’Italia penso sia giusto e doveroso: personalmente cerco di farlo (non compro Nike o cose simili) e non acquisto nei centri commerciali, nei franchising, nelle città mercato e negli outlet, e proprio perchè il denaro ,quel denaro, dà stipendi bassi ai miei connazionali e invia molto denaro all’estero.In quest’ultimo caso occorre sapere che molte colpe sono delle amministrazioni locali che ,quando un nome importante, prendi Ikea ad esempio, chiede se e come può aprire un punto vendita (che loro chiamano impropriamente fabbrica:avranno altre agevolazioni?) si mettono subito a disposizione come zerbini ignorando quanti danni economici fanno quei megacentri.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares