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 Home page > Attualità > Cronaca > Stefano Cucchi è morto, che non si sappia

Stefano Cucchi è morto, che non si sappia

È scandalo la foto del carabiniere indagato per la morte di Stefano Cucchi pubblicata da Ilaria su Facebook. Più fastidiosa della foto di un corpo senza vita e martoriato, dopo essere passato per le mani dello Stato. Più fastidiosa dell’assenza, del vuoto, della solitudine che rimane nelle famiglie colpite da queste vicende. Più fastidioso del fatto che i colpevoli rimangono ai loro posti perché il dirigente chiude un occhio e poi la gente dimentica. Rimangono ai loro posti perché in caso di condanna la pena viene sospesa, come la vita di chi non c’è più.

Di Stefano si disse che forse se l’era meritato, lo disse l’opinione pubblica, influenzata da chi emette sentenze prima di sapere; perché i tre gradi di giudizio valgono solo per alcuni, influenzata da chi cerca sempre un capro espiatorio da proporre alle folle.

L’allora sottosegretario Giovanardi ne era sicuro: “Stefano Cucchi è morto perché anoressico, drogato e sieropositivo”.

Facilmente si potrebbe pensare che i genitori santifichino sempre i figli ma a volte non è così: “Sapere che negli attimi più difficili della sua vita lui possa aver creduto di non avere il nostro sostegno, perché eravamo arrabbiati con lui per aver sbagliato di nuovo, è la cosa che fa più male in assoluto. Se si era avvicinato al mondo della droga era un ragazzo con le sue fragilità. Non sospettavamo che fosse ricaduto nella tossicodipendenza. Forse abbiamo abbassato la guardia, dopo aver avuto molti momenti difficili, non abbiamo riconosciuto i segnali che probabilmente non erano ai livelli passati”. È quanto mi confidò la madre di Stefano che incontrai ed intervistai, per la prima volta insieme ad Ilaria, a pochi mesi dalla morte di Stefano. Pranzammo insieme, vicino al parco degli Acquedotti, non lontani dal luogo in cui iniziò il dramma del loro ragazzo. Le indagini, in quei giorni, erano concentrate sul personale medico e sugli agenti della polizia penitenziaria. Rimasi sorpresa dalla fermezza delle due donne quando il mio collega pose una domanda: “I carabinieri chiamarono l’ambulanza, secondo voi Stefano avrebbe potuto avere un attacco epilettico ed i carabinieri potrebbero essere stati incapaci di gestirlo, a tal punto da scambiare il suo atteggiamento per un puntiglio?” Loro furono certe che i fatti non potevano essere andati così. Eppure incalzai, perché nella sua prima notte trascorsa nella caserma dei carabinieri quando si presentò il medico del 118 Stefano rifiutò di essere visitato. Perché? Il giorno che si svolse il processo per direttissima, all’indomani dell’arresto, il ragazzo aveva già gli zigomi e gli occhi segnati dalle botte, così come raccontato dal papà Giovanni che era presente in aula. Ma le due donne non mostrarono alcun dubbio nei confronti dei Carabinieri, no, perché in fondo avevano, e forse ce l’hanno ancora, fiducia in quell’arma preposta alla sicurezza dei cittadini.

Il dato di fatto è che c’è un abuso di potere alimentato da una politica che mette sempre alla gogna chi delinque, chi è disperato, chi ha un disagio, mentre i colletti bianchi, che hanno impoverito con forme spesso illecite il Paese ed i loro abitanti, continuano a non scontare nulla, anzi, nei rari casi in cui passano per le mani delle forze di polizia, hanno un trattamento migliore.

Dobbiamo ringraziare Ilaria e tutti coloro che hanno avuto coraggio e lo continueranno ad avere, perché la disperazione, lo smarrimento, la delusione, si sono trasformati in punti di forza che li hanno portati a denunciare, a non nascondere quello che non si doveva sapere.

Huffington Post

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