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Migranti dalla Libia | Minniti e Gentiloni: Le sante feste dell’ipocrisia

Ipocrisia in grande quantità nella vicenda dei 162 migranti portati in aereo militare da Tripoli a Pratica di mare, dove hanno fatto da comparse nello spettacolino organizzato da Marco Minniti, sempre più attivo sul piano internazionale al posto dell’ectoplasmatico Alfano. Il presidente della commissione episcopale italiana Gualtiero Bassetti ha fatto da spalla, sul piano propagandistico, e giustamente, visto che i 162 fortunati prescelti saranno ospitati in strutture ecclesiastiche in sedici diocesi sparse tra Varese e Reggio Calabria,e non in edifici di proprietà dello Stato italiano, togliendo probabilmente argomenti alle rituali proteste della destra per l’“invasione del sacro suolo della Patria”.

Ma non si può ignorare che la Chiesa (o un suo settore in lotta con altri) ha appena fatto un bel regalino agli xenofobi con la dichiarazione del segretario di Stato Parolin, che ha approvato lo stop alla legge sullo Jus soli, “per non dividere il paese”. Detto alla presenza della Raggi, più che un generico atteggiamento pilatesco, era un via libera alla vergognosa diserzione dei cinque stelle.

Ma torniamo all’“operazione umanitaria”.

Da anni avevo sostenuto che per togliere il terreno sotto i piedi ai “mercanti di morte” nel Mediterraneo (argomento chiave di periodiche campagne propagandistiche) sarebbe bastato organizzare un trasporto gratuito su normali traghetti, dopo aver definito e verificato prima della partenza se c’erano le condizioni per la richiesta di asilo e protezione internazionale.

Il primo esperimento di “canale umanitario” era stato fatto intanto con mezzi propri dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Chiesa Valdese, che avevo salutato positivamente, anche se la dimensione limitata dell’operazione aveva fatto sospettare che il suo scopo fosse prevalentemente propagandistico. E in effetti lo era. Ma oggi c’è qualcosa in più.

L’attivismo di Marco Minniti non si limita a scavalcare il ministro Alfano, in tutt’altre vicende affaccendato nel tentativo di arginare la scomparsa totale della sua area politica, ma si intreccia con quello della ministra Pinotti.

Avevo già osservato che l’uso di una parte notevole della flotta militare italiana nel Canale di Sicilia era poco utile ai fini umanitari dichiarati (sarebbe stato meglio non rompere le scatole ai volontari impegnati nei salvataggi), ed aveva piuttosto lo scopo di giustificare di fronte all’opinione pubblica l’enorme spesa militare del nostro paese: non mi stancherò mai di ricordare che l’Italia si è dotata di ben due portaerei mentre l’immensa Cina ne ha una sola, e di seconda mano.

E infatti Minniti ha spiegato perché si sono usati aerei militari per “portare verso la salvezza donne e bambini, sottraendoli ai trafficanti di esseri umani”. Secondo il ministro degli interni così l’Italia “ha scritto una bellissima pagina di solidarietà e accoglienza e lo ha fatto mettendo in campo la sua forza-paese e dimostrando che nelle situazioni difficili sa dare il meglio”. Cosa vuol dire “forza-paese”?

Ce ne accorgeremo presto. L’imperialismo italiano, che nel 2016 ha scavalcato molti paesi diventando il terzo paese tra quelli che investono in Africa (dopo la Cina e gli Emirati Arabi Uniti), ha bisogno di consolidare la sua posizione rispetto ai concorrenti. Ne ha parlato lungamente LIMES in un numero interessante (n° 11 del 2017) ricostruendo la nostra presenza in diversi paesi africani: abbiamo perfino una base a Gibuti, accanto a quelle di Francia, Stati Uniti, Cina, Arabia Saudita... Parte degli articoli o interviste sono di esponenti governativi come il viceministro Mario Giro, o industriali come Lapo Pistelli dell’ENI. Ma quasi tutti fanno ammissioni interessanti. E si scopre che i programmi, più volte accennati in dichiarazioni incaute della Pinotti e smentiti periodicamente, (salvo riaffiorare poi poco dopo tra le righe di un articolo o in una frase di un discorso), non sono solo di investimenti di capitali: stiamo per andare in Niger, paese poverissimo e insicuro. Sposteremmo qui i cinquecento militari collocati finora in Iraq a proteggere gli sporchi affari di imprese italiane che hanno costruito (male) la diga di Mosul.

Se ne parla da un pezzo, e si fanno reticenti smentite. Intanto, nonostante i tanti tagli alla spesa pubblica, sono state silenziosamente aperte due ambasciate nell’Africa Occidentale, nella Guinea Conacry e a Niamey, appunto capitale del Niger.

La penetrazione italiana in Africa è passata finora per canali diversi, prima di tutto economici (attraverso giganti radicatissimi nel continente come ENI, Salini Impregilo, e anche la CMC, ex cooperativa legata al PCI e oggi impresa di primo piano che si è concentrata in Mozambico), ma anche “umanitari”, delegati spesso alla Comunità di Sant’Egidio, che ha un suo “ministero degli esteri” parallelo. Ma oggi c’è chi pensa che non sia sufficiente.

L’opinione pubblica ignora tutto, o si disinteressa per non pensare alle possibili conseguenze di interventi maldestri, come quelli che prevedevano l’invio di molte migliaia di militari di terra in Libia, più volte annunciati dalla pessima ministra della Difesa, ma ritirati subito dopo per l’evidente inadeguatezza del nostro personale neocoloniale, che ha costruito un “ruolo dell’Italia” basato su una pesante sottovalutazione delle forze in campo localmente.

Ma ora al di là della “necessaria protezione dei nostri interessi” in Africa, il progetto di una base militare consistente nello sventurato Niger è legato all’illusione di poter fermare con le armi un flusso inarrestabile di migranti spostando i controlli qualche migliaia di chilometri a sud delle coste del Mediterraneo. Un progetto iniquo ma anche irrealizzabile, e che può innescare molte mine: i più “generosi” programmi di aiuti umanitari, culturali, medici, sono enormemente inferiori alle prospettive di guadagno offerte dal business dei traffici, e alle stesse rimesse degli emigrati che hanno trovato un lavoro in Europa. Comprarsi qualche uomo politico per concludere un affare può essere facile (l’ENI ad esempio ha distribuito 187 milioni di dollari a tre presidenti nigeriani), ma una presenza armata per qualsiasi scopo può avere conseguenze tragiche.

Nella prossima campagna elettorale di “Potere al popolo” la denuncia delle spese militari comunque motivate o camuffate deve essere continua, centrale e collegata a quella dei tanti tagli ai servizi. Tanto più che questa “scalata” dell’Italia dal ventunesimo al terzo posto tra gli investitori in Africa, che ovviamente non ha portato nessun vantaggio al 99% degli italiani, è stata possibile grazie agli infiniti favori fatti da tutti i governi a capitalisti e avventurieri, oltre che alla lobby degli armamenti, ben rappresentata da Leonardo e Fincantieri, che risultano tra i primi cento giganti delle imprese di morte nel mondo. I soldi per i “loro” investimenti li hanno presi dalle nostre tasche! (a.m.)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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