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Mercati finanziari | L’ombra lunga di Liz Truss su Giorgia Meloni

Giorgia Meloni per ora non è Liz Truss ma potrebbe diventarlo, nell'affanno di coprire con misure estemporanee un crescente fardello di spese e spingendo i mercati ad aumentare il premio al rischio-Italia

In queste ore e giorni di gabelle straordinarie che fanno crollare la borsa italiana, poi risalita mano a mano che la bomba si trasformava in un petardo fradicio, sta iniziando a diffondersi una domanda: l’Italia di Giorgia Meloni finirà come il Regno Unito di Liz Truss, cioè travolta da una violenta reazione avversa dei mercati finanziari?

A ben vedere, ci sarebbe un’apparente differenza di base: Truss è stata spazzata via dall’ideona di fare un gigantesco deficit da taglio tasse per rilanciare la crescita, mentre Meloni dal momento dell’insediamento appare morigerata e circospetta sui conti pubblici, fin qui tenuti in modo complessivamente decente. Ma la messe di costose promesse elettorali non può restare elusa troppo a lungo.

E infatti sotto il tappeto italiano stanno lievitando impegni di spesa e debito che appaiono assai poco gestibili, date le risorse oggi disponibili. La riforma fiscale con le sue caramelle cariogene, la decontribuzione straordinaria dei redditi bassi, le spese vincolate che ogni anno perseguitano il governo di turno al momento di redigere la legge di bilancio.

Per tacere delle pensioni con miraggi alcolici come Quota 41 anni di contributi, sempre frustrata dalla realtà travestita da demografia. E ogni anno c’è una Quota 102 o 103 per calciare la lattina più in là. Vogliamo poi parlare della “pensione di garanzia” per aiutare giovani cui si prospettano mille euro netti (ottimisti!) al compimento dei 74 anni di età? Quest’anno, poi, c’è anche il riflesso pavloviano potenziato che punta a risolvere i mali del mondo con riduzioni fiscali. Sull’Iva per prodotti di prima necessità ma non solo, in modo che i commercianti non piangano per l’inflazione su cui essi stessi a volte soffiano (inavvertitamente, per carità); sui redditi bassi, come surrogato o succedaneo del salario minimo. “Tagliamo i contributi e risolto”.

BASTA UN POCO DI DETASSAZIONE E LA PILLOLA VA GIÙ

A questa lista non esaustiva di impegni di spesa che gonfiano un tappeto che sta per finirci in testa si somma il deficit da Superbonus che sta tornando a casa per fare il nido, cioè sta per trasformarsi in debito. Sicuramente dimentico altro.

C’è una disperata fame di denaro, quindi. Come trovarlo, se il mantra è quello di “non alzare le tasse”, a cui si aggiunge anche il mainstream bipartisan di “preleviamo da chi ha guadagnato troppo” o addirittura “ingiustamente”, come ha detto la premier trasformandosi in autorità morale?

Ecco, questo è il punto. Un governo alla disperata caccia di tantissimi soldi potrebbe agire in modo scomposto, inventandosi tasse su extraprofitti più o meno inesistenti, magari spingendosi a tassare gli “extraricavi”, di questo passo. Anche per non scoprire il fronte “sociale” e tenere tranquillo un elettorato che chiede soldi.

Così si spiega la natura disperata, oltre che improvvisata ben oltre il tradizionale limite italiano della cialtroneria, della tassazione degli “extra margini di interesse” delle banche. Manovra che verrà progressivamente diluita e finirà in un tavolo con i banchieri per ottenere qualcosa in cambio di altre cose, finanziariamente di valore.

Ma c’è un rischio inerente a questa condotta panicata: che i mercati non apprezzino e prezzino un crescente “rischio Italia”, il paese dove l’incertezza del diritto regna sovrana, e dove non sai che accadrà la mattina successiva, in caso di editto notturno in stile Erdogan.

LO SCONTO PER IL RISCHIO ITALIA

Se le cose andassero così, ecco che potremmo avere la famosa reazione avversa dei mercati, con rendimenti dei titoli di Stato in crescita e applicazione alle nostre aziende, quotate e non, di uno “sconto Italia” da incertezza normativa alta e crescente. Oltre che dal rischio che, a furia di imitare la sinistra che vorrebbe tassare tutto quello che si muove, l’elettorato scelga l’originale e non l’imitazione destra. Soprattutto se l’economia si fermasse e il disagio crescesse.

Perché manovre una tantum per coprire fabbisogni permanenti sono un nonsenso, e prima o poi il conto arriva.

La protratta assenza di crescita e il drammatico invecchiamento della popolazione, unite a una struttura economica che sembra progettata da qualche mente perversa per far decrescere la produttività, portano da una parte sola: crescenti episodi di autofagia economica e finanziaria. Il paese che divora sé stesso, anche a colpi di una tantum.

Quindi, per riassumere: no, al momento Giorgia Meloni non è Liz Truss. Ma potrebbe diventarlo percorrendo il sentiero opposto a quello dell’ex premier britannica. Non detassazione a deficit ma tassazione a colpi di una tantum e manovre estemporanee e straordinarie per finanziare detassazioni pro tempore, e condannarsi a correre con la lingua penzoloni sul tapis roulant delle scadenze, elettorali e fiscali. Cementando il ruolo dell’Italia come anello di congiunzione tra Medio Oriente e Sudamerica. Dall’incertezza del diritto alla certezza del rovescio, il percorso può essere molto più breve di quanto si creda.

Photo by governo.it – Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

 

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