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Mense scolastiche: diritti calpestati

Mense scolastiche: diritti calpestati

La deprimente situazione del nostro Belpaese è ben rappresentata da alcuni episodi avvenuti in questi mesi in piccoli Comuni del Nord Italia, intorno a questioni inerenti la gestione delle mense scolastiche.

Dapprima c’è stata la vicenda di Montecchio Maggiore, provincia di Vicenza, dove il Comune ha lasciato letteralmente a pane e acqua un gruppo di alunni di una scuola elementare, figli di genitori inadempienti al pagamento della retta per la mensa. Negli ultimi giorni è emerso il caso di una scuola elementare di Adro, provincia di Brescia, qui il sindaco ha deciso di non saldare i conti in rosso dell’associazione di genitori che gestisce il refettorio, agli alunni morosi non è stato nemmeno accordato il permesso di fermarsi a scuola durante l’orario di pranzo in quanto l’organizzazione non può garantire il pasto per loro.

In entrambi i casi la questione riguarda numerosi scolari extracomunitari ma anche molte famiglie italiane. Entrambe le amministrazioni sono rette da sindaci leghisti. Ma se un velato razzismo pare nascondersi dietro certe prese di posizione di taluni amministratori, c’è da evidenziare la tragica situazione economica che si riscontra in diversi Comuni, le cui casse risultano in deficit anche per le insolvenze di qualche “furbetto” che preferisce non pagare pur avendone le possibilità, creando danni ingenti a un sistema già di per sè fragile. 

L’indignazione suscitata da queste vicende è grande perché tocca il delicato terreno dei diritti dei minori. Calpestati per le colpe o la situazione di indigenza dei genitori. Il primo dato che emerge è che i diritti o i non diritti dei padri, nel nostro paese, si trasmettono, in maniera diretta ai figli. Ricordiamo il caso emblematico di Bologna, dove il commissario prefettizio, Anna Maria Cancellieri, applicando alla lettera le norme del pacchetto sicurezza dell’agosto 2009, ha predisposto dei moduli che consentivano solo ai figli di stranieri in regola con il permesso di soggiorno, l’iscrizione presso gli asili nido. Moduli immediatamente ritirati fra le proteste di sindacati e associazioni scesi in campo a difesa del diritto primario all’istruzione. 

Non dobbiamo dimenticare che si tratta pur sempre di bambini. È giusto punire un genitore colpendo e affossando i bisogni primari di un minore ? Non rientra nella logica educativa della scuola mettere un bambino nella condizione di denuncia della propria povertà o dell’inadempienza dei propri genitori di fronte agli occhi a volte feroci dei coetanei. Anche la scuola sta diventando un luogo dove le differenze socio-economiche vengono messe a nudo, se non sono già abbastanza sottolineate dagli stessi atteggiamenti di genitori, alunni e insegnanti. La scuola se davvero vuole svolgere il compito che le è affidato dovrebbe assumersi le proprie responsabilità e tornare a essere il luogo dell’integrazione, dell’accoglienza e dell’uguaglianza a ogni costo.

In questo senso un altro episodio, di segno opposto, di cui si ha notizia in questi giorni, fa riflettere. La dirigente scolastica dell’istituto comprensivo di cui fanno parte due scuole medie di San Fior e Godega, due piccoli centri in provincia di Treviso, ha deciso di imporre la divisa scolastica uguale per tutti gli alunni. Dopo alcune perplessità anche i genitori più scettici si sono ricreduti sull’utilità dell’iniziativa. Che va letta nell’ottica della missione sociale della scuola di cui abbiamo parlato in precedenza, e nel concreto mira all’eliminazione delle differenze fra gli alunni.

"Gli scopi principali della divisa sono di rafforzare il senso di appartenenza a un gruppo e livellare la condizione sociale degli studenti – si legge nel documento dell’istituto in cui si presenta l’iniziativa – La divisa fornisce una forma di uguaglianza durante l’attività scolastica sia tra studenti sia nei confronti degli insegnanti, talvolta i primi a discriminare di fronte all’apparenza".

È una scelta educativa che tende a uniformare gli studenti al di là della tendenza, sempre più ostentata, a esibire capi firmati, griffe di ogni genere, spesso per rimarcare le differenze sociali.

La situazione appare radicalmente diversa dal rispetto delle regole a cui si richiama il sindaco di Adro. L’amministratore bresciano per far rispettare una norma, pure legittima, mette a repentaglio i diritti fondamentali dei bambini, soprattutto il diritto di non essere additati come emarginati e diseguali, di fronte agli altri.

A Treviso invece, una regola, anch’essa imposta dall’alto, assume un senso pieno nel contesto scolastico, si muove nella giusta direzione, interpreta correttamente le tendenze che emergono dalla società contemporanea e cerca di porre dei freni alla deriva classista e individualista che sta investendo i luoghi simbolo della formazione e dell’apprendimento del nostro paese.

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