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Matteo Mancuso Trio a Badia Polesine (Rovigo)

Successo di pubblico per il concerto del chitarrista siciliano nella XXIVesima edizione della rassegna TRA VILLE E GIARDINI

 

Il giovane chitarrista e compositore (Palermo, 22 novembre 1996) sembra già possedere una maturità che gli consente di salire e rimanere sul palco senza tradire la minima emozione. Ciò che appare evidente è che gli piace suonare e che, fosse per lui, non guarderebbe mai l’orologio per capire quando è il momento di concludere il set.

Nel giardino dell’abate dell’abbazia della Vangadizza di Badia Polesine ha guidato con fermezza il suo trio, costituitosi nel 2020, completato da Stefano India al basso elettrico e Giuseppe Bruno alla batteria.

Nove i brani in scaletta, per un repertorio sostanzialmente Rock, con volumi sonori decisamente alti, pur se sopportabili rispetto ai comuni concerti Pop/Rock (vedi ad esempio quello di Laura Pausini che ha potuto esibirsi, vorrei capirne il motivo, addirittura in Piazza San Marco).

Si parte con un Rock lento dai suoni distorti, mentre nell’aria si diffondono fumi e luci ad intermittenza. Non si capisce la ragione della loro introduzione, visto che distrae dall’ascolto e infastidisce, togliendo la concentrazione.

Silk Road, il titolo del brano, è quello d’esordio nel primo album, The Journey, spiegherà alla fine Mancuso, ispirato al chitarrista americano Scott Henderson (West Palm Beach, Florida, 26 agosto 1954), che suonò sia nell’Elektric Band di Chick Corea (1986-87) sia nel The Zawinul Syndicate, il gruppo fondato dal tastierista austriaco, dopo lo scioglimento dei Weather Report.

Matteo Mancuso Trio

La composizione consente al leader di esibire una tecnica originale derivata dal fingerstyle, caratterizzata dall’uso esclusivo delle dita senza mai ricorrere al plettro, con un utilizzo costante degli arpeggi.

Il secondo brano è una cover di Fred, composta da un altro chitarrista che ha influenzato il giovane virtuoso palermitano, vale a dire l’inglese Allan Holdsworth (Leeds, Yorkshire, 6 agosto 1945 – Vista, California, 15 aprile 2017), membro dei Soft Machine dal 1973 al 1975.

E’ un Rock progressivo, in cui comincia a inanellare assolo Stefano India, un fraseggio riconducibile allo stile e alle sonorità dell’indimenticato Jaco Pastorius (Norristown, Pennsylvania, 1 dicembre 1951 – Fort Lauderdale, Florida, 21 settembre 1987).

Accanto al fantasma di Jaco, non poteva mancare quello dei Weather Report. E allora avanti con Black Market, in cui Mancuso inserisce citazioni da Birdland, forse il pezzo più famoso dello storico gruppo.

Il concerto procede nel ricordo di Pastorius attraverso Havona, dall’album “Heavy Weather” dei Weather Report, un brano sincopato in versione delicatamente funk, e l’immancabile The Chicken, attribuita a Pastorius, non ostante, ha precisato il leader, sia stata scritta da Pee Wee Ellis, il saassofonista di James Brown, nel 1969.

Matteo Mancuso Trio

E’ uno standard troppo eseguito nelle Jam Sessions, che io ho riarrangiato nel 2017, ha dichiarato il chitarrista prima di interpretarlo in una versione pirotecnica, superveloce, assai applaudita e gradita dalla platea.

E’ il momento di tirare il fiato. Ecco allora The Journey, eseguito in duo (chitarra e basso elettrici), una melodia romantica che potrebbe far pensare a quelle canzoni mielose di Pat Metheny.

La serata procede con Time to leave, nato per la chitarra classica. E’ il brano più lungo dell’album, un 6/8 coinvolgente, trascinante e caratterizzato nel tema da stacchi da eseguire con attenzione prima che incomincino le improvvisazioni. C’è spazio per un lungo assolo di batteria che precede il tema conclusivo.

L’ultimo brano, Blues for John, intende rendere omaggio a John McLaughlin, un altro chitarrista ammirato da Mancuso. Di facile presa, è forse il motivo adatto per salutare il pubblico.

Ma non finisce qui. E’ il momento del bis, prepotentemente Rock, con frequenti suoni distorti.

Sono trascorsi quasi 90 minuti, un tempo sufficiente per rendersi conto della bravura del leader, anche se avrei preferito ascoltare rivisitazioni di standard Jazz, come Donna Lee, presente nel web, che però avrebbero necessitato di partner in grado di conoscere lo stile e il linguaggio jazzistico, rispetto ai due musicisti attuali, bravi, sì, ma il cui gusto è indirizzato verso altri orizzonti musicali.

I complimenti finali vanno a una rassegna che in quindici appuntamenti ha saputo spaziare dalla musica, al teatro, al “reading concert”, cercando di accontentare una platea diversificata, e facendo conoscere molti bei luoghi della provincia di Rovigo, adatti a trascorrere una piacevole serata estiva.

 

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