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"Mai contro la tradizione cristiana": le facili promesse di Silvio I l’Ipocrita

Non v'è nulla di sorprendente nel fatto che un politicante accorto come Silvio Berlusconi, alla vigilia di un importante appuntamento elettorale, ritenga opportuno affermare, come è accaduto venerdì, che non farà "mai leggi contro la tradizione cristiana".

La pratica religiosa, in Italia, è sempre meno diffusa e il cattolicesimo, in particolare, è sempre meno sentito, ma la maggior parte della popolazione ancora si definisce cattolica (o ama illudersi d'esserlo) e la chiesa, con la sua influenza, ancora controlla una piccola, ma cruciale, fetta dell'elettorato.

Quel che stupisce, invece, è la fascinazione che tanta parte del mondo cattolico, e soprattutto delle gerarchie ecclesiastiche, ha provato, perlomeno fino a ieri, per un simile personaggio.

Non mi riferisco certo alla vita privata di Berlusconi Re del Bunga Bunga (è facile ridacchiarne, ma altrettanto facile è dire che, nella nostra umana debolezza, siamo tutti peccatori); mi riferisco proprio all'azione di governo del Presidente del Consiglio Berlusconi, alla sua predicazione politica e, prima ancora, all'opera di dis-evangelizzazione compiuta dall'imprenditore Berlusconi e dalle sue televisioni.

E’ difficile, infatti, guardando al nostro panorama politico, ritrovarvi dei partiti o movimenti tanto profondamente anti-cristiani quanto il PdL ed è impossibile incontrarvi chi propugni valori tanto antitetici a quelli predicati da Gesù quanto quelli di cui è ammantata la retorica di berlusconi e dei suoi colonnelli.

Non v’è nulla di cristiano nel loro individualismo neo-darwinista; nel loro ridurre il liberalesimo alla pura e sola competizione (predicata, ma nient’affatto praticata da chi dentro ad una società consociativa ha saputo conquistarsi un posto al sole) ignorando tanto le evoluzioni in senso sociale delle dottrine liberali dell’ultimo secolo quanto i vangeli.

Un individualismo d’importazione (quello Reaganiano, né più né meno) che le televisioni di Berlusconi, da trent’anni, stanno martellando incessantemente nelle teste degli italiani, e che, con i miti da cui è stato accompagnato, ha contribuito più d’ogni altro singolo fattore alla disgregazione del nostro tessuto sociale; che ha sostituito alla cultura tradizionale, con la sua inevitabile radice cattolica, che aveva sorretto gli italiani anche nei momenti più brutti della loro storia, il nulla. Il vuoto.

Con tutti i suoi limiti, la nostra cultura contadina era, soprattutto nella aree marginali, lontane dai grandi latifondi, una cultura cooperativa; solo la solidarietà permetteva alle comunità montane, per esempio, di sopravvivere nonostante la povertà dei terreni e la durezza del clima, mentre i diritti comuni, le proprietà delle comunità espropriate dal precedente governo Berlusconi, erano la risposta della tradizione al bisogno di garantire a tutti almeno il minimo per la sopravvivenza, perché tutti, anche i più poveri, della comunità facevano parte e alla sopravvivenza della comunità, attraverso guerre, pestilenze e carestie, potevano essere utili.

Nella sotto-cultura imposta dalla televisione non v’è traccia di solidarietà se non, in rare occasioni, di un solidarietà dall’alto, debitamente spettacolarizzata, che è pero solo carità, mai riconoscimento di un diritto; si raccolgono fondi, per aiutare questa o quella causa, appellandosi al buon cuore degli spettatori, ma mai alla loro ragione o al loro senso di giustizia.

La vita riflessa negli schermi televisivi è altrimenti pura competizione per avere e apparire; solo questo conta, non quello che si è, quello che si fa o, tanto meno, quello che si sa.

Un edonismo pagano dove il solo valore che conta è il denaro che, se è solo blandamente criticato dalle gerarchie ecclesiastiche, e raramente dai Papi, dovrebbe, ad ogni modo scandalizzare ogni cristiano al punto da fargli scagliare l’apparecchio televisivo nella spazzatura, lontano dalla propria vista e, soprattutto, da quella dei propri figli.

Una predicazione tanto anti-cristiana da impedire, a chiunque si riconosca nei valori evangelici, anche solo di considerare l’ipotesi di votare chi se ne sia reso complice, che trova puntuale riscontro nelle azioni di Berlusconi come uomo di governo.

Particolarmente atroce, contraria non solo ai valori cristiani, ma alla stessa dignità umane, è stata ed è, in particolare, la politica sull’immigrazione condotta dai governi di cui è stato presidente del consiglio.

Non capisco come la chiesa abbia potuto chiudere gli occhi davanti all’atrocità dei respingimenti in mare, e capisco ancor meno come la coscienza dei miei compatrioti che si ostinano a definirsi cattolici abbia potuto rimanersene tranquilla, in pace, di fronte alle immagini di dolore e disperazione che di giungevano dal deserto libico.

Sono i morti affogati, i torturati dalla polizia libica, le ossa rimaste a calcinare nel deserto che fanno venir voglia di mettersi ad urlare per lo scandalo quando si sente Berlusconi riaffermare la propria “cristianità”.

Dalla Libia stanno ricominciando a partire dei profughi e a Lampedusa sono ricominciati i loro arrivi; non so come reagirà, questa volta, il governo Berlusconi, ma so quel che dovrebbe fare il governo “cristiano” di un paese “cristiano”: mandare le proprie navi per andarseli a prendere, prima che uno dei relitti galleggianti che usano come imbarcazioni affondi facendo morire qualche centinaio di Poveri Cristi.

Si perderebbero voti a fare così? Forse, ma certo non è su questa terra, e non in propaganda elettorale, il premio per chi cristiano vuole essere davvero.

Il resto è solo ipocrisia e finirà, quando sarà il suo tempo, come polvere nel vento.

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