Mafia e popolo
Il dodici marzo, a Reggio Calabria, si sono svolti i funerali del bos mafioso Domenico Serraino a cui hanno partecipato miglia di persone pur essendo stato proibito dalla questura ogni forma di manifestazione pubblica. Il giorno dopo, alla manifestazione antimafia, tenuta sempre a Reggio Calabria, hanno partecipato alcune centinaia di persone (circa trecento). Qui l’artcolo del Manifesto.
Il sud
Si sa che tutto ciò porta ad una gestione del territorio a 360 gradi; la necessità di una gestione totale, nasce dalla necessità di togliere spazio a chi lo stato vorrebbe rispettarlo e conviverci.
La popolazione, da questo, non ne trae guadagno alcuno se non l’illusione di essere protetti dai mafiosi stessi: paga, altrimenti ti facciamo saltare l’attività (il racket è, purtroppo, approdato anche al nord), oppure, se vuoi lavorare lo devi fare per noi e alle nostre condizioni.
La situazione economica del sud, già precaria al tempo dell’unità, è sempre andata deteriorandosi; prima a causa della gestione piemontese (sabauda) che vedeva il sud "terra di conquista" (spostando le ricchezze del capitalismo terriero al nord) per allargare i propri confini e "contare di più" sul piano internazionale; dopo, dalla seconda guerra mondiale in poi, a causa dell’industria del nord che vedeva nelle popolazioni del sud una riserva di manodopera da contrapporre a quella autoctona. Contrapposizione che serviva a ridurre le istanze dei lavoratori del nord. L’Italia - prima sabauda poi repubblicana - per poter raggiugere lo scopo, si è avvalsa della collaborazione, nascosta, di quelle forze del sud che nell’Italia non si identificavano (in genere latifondisti) perché, dopo la perdita di potere, avevano sviluppato un sistema "di potere" basato sull’omertà e dedito ai traffici illeciti, almeno per i nuovi padroni, che poi divennero azioni criminali.
Quanto detto sopra, se pur sinteticamente, può chiarire la "disponibilità", o, quanto meno l’indifferenza, della popolazione nei confronti delle mafie che in essa si sono sviluppate.
Se, da una parte esiste uno stato che, oltre a non aver mai fatto una seria politica di sviluppo - si sono costruite si le industrie, senza però tener conto della necessità, a priori, per uno sviluppo di una mentalità "industriale" nella popolazione necessaria a fare da supporto all’industria stessa e, comunque volute, non dai politici ma dalle forze sindacali che, in esse, vedevano un’opportunità per le popolazioni di uscire dal loro impasse economico -, si è, nel corso di decenni, macchiato di connivenza con la mafia stessa, dall’altra, è sempre esistita, al sud, una tendenza a rigettare l’occupazione del nord come fatto positivo, questo non ha aiutato la popolazione a inserirsi nel tessuto sociale nazionale, inserimento che avrebbe agevolato un avvicinamento culturale del sud al nord e viceversa.
Conclusione
La mafia come stato (o antistato(?)), come organismo socio/economico/politico in grado di soddisfare le esigenze del popolo; esigenze che, pur non discostandosi dal resto del paese, non trovano risposte adeguate nelle istituzioni ufficiali.
La popolazione del sud non è mafiosa e, in massima parte, non partecipa alle attività mefiose e cerca, in ogni modo, di non affiliarsi ad essa! La popolazione del sud agisce come ogni altro cittadino: partecipa alle elezioni, sceglie i candidati proposti, partecipa alle attività socio/politiche del territorio, ecc.
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