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Ma la salute delle donne è tutelata oppure no?

La ricerca sui farmaci viene effettuata prevalentemente su soggetti di genere maschile. Pertanto obiettivo strategico per la sanità pubblica dovrebbe essere l’appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna. A queste problematiche è dedicato l’ultimo numero di “Monitor”, trimestrale dell’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Riferisce dei contenuti dell’ultimo numero di “Monitor” un articolo pubblicato su ww.sanita.ilsole24ore.com:

“Programma strategico nazionale dell'Istituto superiore di sanità, ricerca farmacologica, Linee guida al femminile: alla medicina di genere è dedicato l'ultimo numero di Monitor, trimestrale dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Nel numero della rivista viene descritto il Programma strategico nazionale rivolto alla medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica: l'appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna, che l'Istituto superiore di sanità ha promosso e a cui partecipa anche l'Agenas (agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali).

Il Programma prevede di considerare anche la farmacologia di genere. Il dato di partenza è che la ricerca preclinica e clinica sui farmaci ‘è stata fatta prevalentemente su soggetti di genere maschile’, ‘riconoscendo una specificità al genere femminile solo nel settore riproduzione’.Questo significa che non si è tenuto conto delle differenze di genere sia per quanto riguarda la farmacocinetica che la farmacodinamica. Non a caso le donne hanno un rischio maggiore (1,5-1,7 volte) di sviluppare eventi avversi utilizzando farmaci.

Tutti gli articoli contenuti nella rivista partono dalla considerazione che sia necessario utilizzare un'ottica di genere, partendo proprio da quelle patologie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini: osteoporosi (+736%), tiroide (+500%), depressione e ansietà (+123%), cefalea ed emicrania (+123%), Alzheimer (+100%), cataratta (+80%), artrosi e artrite (+49%), calcolosi (+31%), ipertensione arteriosa (+30%), allergie (+9%), diabete (+8%), alcune malattie cardiache (+5%). Una particolare attenzione va dedicata alle malattie cardiovascolari, un tempo considerate patologie maschili, ma che oggi sono la principale causa di morte per le donne tra i 44 e i 59 anni.

A questo riguardo, vengono presentate due Linee Guida ‘gender oriented’, una dedicata alle malattie cardiovascolari e l'altra alla sindrome da stanchezza cronica, messe a punto da Agenas nell'ambito del Programma strategico nazionale dell'Istituto superiore di sanità. Negli ultimi trent'anni, si legge nella presentazione della prima di queste linee guida, ‘le malattie cardiache e l'ictus cerebrale hanno registrato una crescita esponenziale e rappresentano oggi la principale causa di mortalità e invalidità femminile nel mondo occidentale’.


In Italia ogni anno muoiono 120.000 donne per malattie cardiovascolari, che corrisponde a circa il 75% del totale dei decessi. Nonostante questi dati, la malattia cardiovascolare continua ad essere considerata un rischio soprattutto per gli uomini e per questo, accanto alle linee guida di carattere clinico-organizzativo, il programma prevede di realizzare una campagna di informazione rivolta al pubblico.

La seconda linea guida è, invece, rivolta alla sindrome da stanchezza cronica, che registra una netta prevalenza di donne ma che spesso viene ignorata o misconosciuta. Tale sindrome ‘non è una malattia della psiche’, e infatti nessun malato è depresso, ma spesso viene interpretata in questo modo, dai medici e anche dalle famiglie dei pazienti. La maggiore incidenza sulle donne sembra legata a ‘fattori ormonali, della biochimica del sistema nervoso, fattori immunitari e genetici’.

Nel dossier viene considerata anche l'incidenza del parto cesareo in Italia, in due differenti prospettive. Nel primo vengono analizzati i dati disponibili, aggiornati fino al 2009, dai quali si evince come il tasso medio si sia sostanzialmente assestato negli ultimi anni intorno al 38,4%, ma con differenze importanti tra una Regione e l'altra, che vengono riportate in una tabella illustrativa.

Nel secondo studio, che si inserisce nel Programma nazionale esiti del Ministero della salute, si utilizza l'indicatore di ‘parto cesareo primario’, distinguendo così tra le donne che abbiano subìto o meno un precedente cesareo. ‘Aggiustando’ le percentuali attraverso questo indicatore, lo studio pone in evidenza come ‘le caratteristiche dell'offerta condizionano fortemente l'impatto del fenomeno nella popolazione’. È dunque intervenendo sulle strutture, più che sulle donne, che si può pensare di ricondurre il ricorso al taglio cesareo ad una maggiore appropriatezza, relativa soprattutto alla salute della donna”.

Io non sono un addetto ai lavori e forse proprio per questo mi sono stupìto apprendendo che la ricerca relativa ai farmaci non tiene conto nella misura adeguata delle specificità che ovviamente contraddistinguono le donne, che ci si propone come obiettivo strategico quello di fare in modo che le cure mediche tutelino effettivamente la salute delle donne. Passato lo stupore, non posso che auspicare che le linee guida ‘gender oriented’ del “Programma strategico nazionale” citato siano realmente seguite ma, considerando le cause del mio stupore, non sono affatto certo che ciò avverrà.
 
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