MEF | I gemelli Giorgetti e i soldi che sappiamo spendere
Il titolare del MEF se la prende col "corto respiro" (solo sette anni) delle regole europee, la cui pervasività ostacolerebbe le forze vitali della società. Il grido di battaglia resta quello: datece li sordi.
Poiché siamo agli sgoccioli del mese che segna l’immaginaria cesura tra le stagioni della politica, ma in realtà rappresenta la coazione a ripetere di una compagnia di giro di caratteristi sempre più imbolsiti, pensavo serenamente di evitare di commentare il flusso di coscienza del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, davanti alla platea del Meeting di Comunione e Liberazione. Quell’happening annuale in cui si cantano le lodi della sussidiarietà e dell’Umanità, contro le forze del male e della Disumanità rappresentate da statalismo e liberismo. Ma non è di questo che voglio parlarvi.
Siamo uomini o algoritmi?
O meglio, non solo di questo. Nel senso che Giorgetti ha incardinato i suoi 12 minuti di riflessione sulla centralità dell’uomo (e anche della donna, state calmi), contro le disumanizzanti regole che lo incatenano. Conta l’impresa e l’imprenditore (ovvio), le banche non devono far credito usando “algoritmi” ma guardando alle persone che quel credito richiedono. Fossimo in America, spunterebbe anche l’ode alla torta di mele.
Sono le aziende e gli imprenditori che devono “tirare” le risorse, perché sono solo loro a sapere come impiegarle al meglio, dice il ministro. Vero, a patto che il quadro normativo che rende disponibili tali risorse non sia minato da incentivi perversi. Perché, in quel caso, gli esiti per la collettività di tante decisioni individuali perfettamente razionali sarebbero negativi e spesso pure disastrosi. Qualcuno ha detto Superbonus?
Poi, sempre per recitare a soggetto umanistico, per Giorgetti è la dotazione di capitale umano che spinge i capitali esteri a investire in un paese, non solo e non tanto fisco e tutela dei diritti di proprietà. Vabbè, qui forse il ministro si è fatto trasportare dall’entusiasmo del contesto e del consesso. Formazione e lavoro sono un investimento a lungo termine e non un costo, ha detto Giorgetti. D’accordissimo: gli anglosassoni chiamano questi pensierini “platitudes“, che mi pare termine molto plastico.
Poi, ecco lo scarto. Quando si tratta di perseguire questa visione di lungo termine in politica,
[…] Subentrano delle regole, magari decise a livello europeo, come il Patto di stabilità, in cui il pensiero lungo non è adeguatamente valutato e quindi costringe gli Stati nazionali, nelle decisioni di politica di bilancio, a fare valutazioni inevitabilmente di breve e corto respiro.
Un respiro corto sette anni
Ora, accade che Giorgetti abbia negoziato (forse un termine forte, ma lo usiamo lo stesso) la riforma del Patto di stabilità e crescita, che non lo fa impazzire ma che reputa meno disfunzionale della precedente versione. Quello che non comprendo è come sia possibile parlare di “corto respiro” quando l’Italia si accinge a negoziare con la Ue un percorso di rientro dei conti pubblici lungo un arco temporale di ben sette anni. Questo sarebbe il “corto respiro” secondo Giorgetti? Oppure il “corto respiro” è semplicemente l’equilibrio dei conti, che pure uno dei gemelli Giorgetti persegue con meritoria caparbietà contro la droga LSD (lassismo, sussidi, debito)?
Poi c’è l’aspetto euro-burocratico, che frustra il ministro. Nel PNRR ci sono passaggi, milestone, obiettivi intermedi che ricordano “i piani quinquennali sovietici”, dice Giorgetti. Vero, c’è una minuziosa e spesso spossante scansione di obiettivi e tappe. Ma questo fa parte delle regole del gioco, nel senso che la Ue è un gioco cooperativo-competitivo dove i paesi partecipanti mettono soldi e li ricevono, e devono garantirne l’impiego corretto agli occhi dei contribuenti di ogni altro paese.
Ovviamente, nulla garantisce che la sequenza di procedure e processi da seguire sia quella ottimale, ma essa rappresenta il punto di caduta che regola quello che nella forma e nei fatti è un contratto. Non sono tra quelli che vedono il male in ogni procedura codificata, anche se sono del tutto consapevole che le norme sono fatte per essere aggirate, e questo tanto più accade quanto minore è la fiducia reciproca tra contraenti. Credo che Giorgetti sia consapevole del numero di predazioni che leggi scritte in un certo modo hanno prodotto, nella storia di questo paese. Non era sufficiente dire “diamo i soldi ai destinatari, e ci pensano loro”?
Ma voi capite che non può esistere la soluzione che Giorgetti e ampia parte della nostra classe politica paiono prediligere: datece li sordi, a spenderli pensiamo noi che lo sappiamo fare meglio di chiunque altro. Li diamo ai nostri imprenditori, oppure alle nostre famiglie, e loro sanno quello che è meglio fare per impiegare soldi pubblici, nazionali o europei.
Questa è una delle declinazioni, nel nostro paese, del concetto di sussidiarietà: soldi pubblici per illuminate iniziative private, e più non dimandate. Anche qui, direi che è troppo semplice. Ma non voglio sovrainterpretare quella che, dopo tutto, è solo una recita a soggetto, peraltro piuttosto stanca. Come un’intera classe politica che vede avvicinarsi i respingenti della stazione di arrivo.
Ma sarebbe molto utile se, per una volta, evitassimo questo continuo piagnisteo contro agenti ostruenti esterni che si frappongono tra noi e la felicità. In tal modo, riusciremmo anche a ridurre il numero di gemelli che popolano il nostro paese. Quella sarebbe l’unica decrescita demografica a cui tendere e ambire.
Photo by governo.it – Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT
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