Lobbying all’italiana o Far West all’italiana? Legge e sceriffo cercasi
Se Giuseppe Mazzei parla di “Far West indecente” per descrivere la situazione delle attività di lobbying in Italia, possiamo credergli perché è il presidente di “Il Chiostro”, un’associazione professionale per la trasparenza delle lobby, termine che tradotto in modo semplice si riferisce alle attività che gruppi di interesse - dalle aziende alle banche ai professionisti a tante organizzazioni diverse anche non governative - mettono in campo per influenzare le scelte del legislatore. Di per sé il lobbying non pregiudica gli interessi della collettività ma a condizione che i cittadini sappiano se le leggi promulgate rispondano a interessi generali o premiano solo quelli di qualche gruppo di potere che si serve di qualche faccendiere per raggiungere lo scopo.
L’occasione per fare il punto su una fase poco nota della formazione di leggi e decreti attuativi – argomento sicuramente poco conosciuto e ampiamente sottovaluto dagli italiani - arriva dalla Conferenza indetta a Roma da Transparency International Italia, tenutasi a Palazzo Marini, uno dei palazzi del centro storico in affitto alla Camera dei Deputati, per la presentazione del rapporto: “Lobbying e democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia”.
Al tavolo si sono trovati i lobbisti “ufficiali”, privi ancora di un albo professionale e di una legge oltre che di un’autorità di controllo, e parlamentari di primo piano come Luigi Di Maio e Pippo Civati. Per il Governo hanno partecipato Ivan Scalfarotto, in rappresentanza del Ministro per le Riforme Costituzionali e i Rapporti con il Parlamento e Riccardo Nencini, oggi viceministro delle Infrastrutture e dei trasporti, che nel lontano 2002 quando era presidente del Consiglio regionale toscano si fece promotore di una legge regionale di disciplina delle attività di lobbying.
Tra i lobbisti presenti anche Patrizia Rutigliano, presidente FERPI e direttrice Comunicazione SNAM, e Gianluca Comin, fondatore di Comin & Partners un personaggio sicuramente esperto in materia per essere stato per dodici anni al vertice della Comunicazione e Relazioni Esterne di Enel. Comune a tutti gli interventi dei professionisti lobbisti, l’importanza di creare un albo di persone preparate a svolgere un incarico che richiede sempre più competenze giuridiche oltre che relazionali, accompagnate da un quadro normativo che faccia pulizia di personaggi spesso ambigui che affollano quotidianamente Camera e Senato. E’ il caso, per citare qualche esempio, di non pochi giornalisti in pensione o ex parlamentari che, in un clima di scarsa trasparenza, entrano ed escono da Montecitorio o Palazzo Madama, incrementando nell'opinione pubblica il livello di percezione dell’opacità di una professione che da anni è invece riconosciuta e regolamentata in altri paesi.
A proposito di norme, anche in Italia i tentativi sono stati tanti se si pensa che di proposte di legge sull’argomento, dal 1948, ne sono state presentate oltre venticinque sino al disegno di legge n. 1866, conosciuto anche come DDL Santagata, dal nome del Ministro per l’Attuazione del programma del Governo Prodi. Correva la XV legislatura e da allora nulla è stato fatto e quanti, da questo incontro promosso da Transparency, si aspettavano se non un cronoprogramma almeno qualche passo avanti deciso da parte dei membri del Governo presenti sono andati via delusi.
Eppure ci sarebbe di che preoccuparsi perché, come racconta Luigi Di Maio, appare intollerabile quanto accaduto l’anno scorso sulla legge di stabilità, che ha visto di fronte alla Commissione Bilancio accalcarsi decine di persone, non meglio identificate, intente a convincere i membri della Commissione a fare scelte a favore di non meglio definiti gruppi di pressione. Il Vice presidente della Camera ha anche lanciato un avviso ai lobbisti, più o meno abusivi, che nel caso dovesse ripresentarsi una situazione analoga, i deputati del Movimento 5 Stelle fotograferanno e pubblicheranno le foto dei presenti in quello che non è più un luogo istituzionale ma “un mercato delle vacche”. Per Di Maio i lobbisti non sarebbero il male tanto paventato se almeno ci fosse un regolamento che non sembra al momento interessare, nonostante le insistenze, la presidente della Camera, Laura Boldrini.
Pippo Civati, che avrebbe dovuto rappresentare il partito che esprime il presidente del Consiglio, ha rimarcato invece una maggiore sintonia di vedute con Di Maio, lamentando lo scarso apporto giunto dal Sottosegretario che pure ha in mano la questione lobby. “Ma siamo poi davvero sicuri che è il Parlamento il luogo in cui si decide?" domanda provocatoriamente Civati, facendo notare come ormai sia il Governo che legifera. E non sono più solo i parlamentari i soggetti contattati dai lobbisti ma anche direttori generali e alti funzionari pubblici, figure sempre più indispensabili alle quali viene demandato il compito di scrivere i decreti attuativi. Ma chi dovrebbe vigilare sulla professione e sulla trasparenza dei rapporti tra lobbisti e decisori? Per Civati è l’Autorità Antitrust ma c’è anche chi preferirebbe l’Autorità Anticorruzione.
- Registro per la trasparenza UE - lobbyisti italiani per categoria
- Fonte: https://www.transparency.it/lobbyin...
Sin qui la politica e i professionisti, ma come vedono il lobbismo gli italiani? Secondo Chiara Putaturo di TI Italia, l'informazione è considerata insufficiente da 73% delle persone ma la percezione dei cittadini è critica al punto che il Global Corruption Barometer 2013 evidenzia come un 70% sia convinto che il governo è influenzato da poche organizzazioni e la figura del lobbista è associata a quella del faccendiere. Ed è per questo che TI Italia individua alcuni obiettivi da perseguire. Ecco i principali:
1 L’istituzione, da parte del governo, di un registro pubblico dei lobbisti, garantito da un’autorità super partes;
2 L’apertura al pubblico del processo legislativo, soprattutto nelle primissime fasi dell’iter normativo e nella fase cruciale in cui le proposte di legge passano nelle Commissioni Parlamentari: due fasi salienti che però non sono pubbliche;
3 L’obbligo per i parlamentari di rendere pubblici i dettagli degli incontri con lobbisti e gruppi di interesse, oltre ad un maggiore controllo e alla trasparenza degli accessi al Parlamento e ai Ministeri, che devono essere registrati e resi pubblici;
4 L’introduzione di un Freedom of Information Act, che garantisca libero accesso ad ogni informazione e ai documenti prodotti e detenuti dalla pubblica amministrazione;
5 La regolamentazione del cosiddetto fenomeno delle “porte girevoli” (revolving doors) che includa anche l’attività di lobbying, e in particolare l’introduzione di “periodi di attesa” per ex parlamentari o membri del Governo o alti funzionari pubblici, durante i quali non può essere loro consentito di effettuare attività di lobbying nei confronti dell’istituzione in cui hanno svolto le proprie funzioni.
Per ottenere un risultato certo in direzione della massima trasparenza possibile, TI Italia sottolinea e auspica una maggiore attenzione e tutela del “giornalismo investigativo, che può contribuire a far conoscere e comprendere il fenomeno in modo più obiettivo”.
- La libertà d’informazione in Italia è soddisfacente?
- https://www.transparency.it/lobbyin...
A questo punto, considerata l’urgenza, se la lobby dei lobbisti crede nella regolamentazione della propria professione potrà provare a esercitare la propria influenza direttamente sulle istituzioni e in primo luogo su Camera e Senato.
Infine una curiosità sull'origine della parola "lobby" che come riporta il vocabolario Treccani deriva dal latino tardo "laubia", lo stesso etimo dell'italiano "loggia", intesa come tribuna, “tribuna del pubblico (in aule parlamentari)”.
Di seguito il video di animazione "Facciamo luce sul lobbying" di TI Italia:
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