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 Home page > Tribuna Libera > Lettera ad una figlia venticinquenne

Lettera ad una figlia venticinquenne

Figlia mia,

quando adolescente scegliesti ti trasferirti in città, inseguendo i sogni adolescenziali di una vita di soddisfazioni e di successi, non potevi conoscere -per gioventù - le insidie che la vita riserva ad ognuno di noi.

Sognavi studi eccellenti e bei ragazzi, che ti facessero sognare ad occhi aperti e ti apprestassero un futuro di soddisfazioni professionali, con un bel marito a fianco ed una casa allietata dalla gioia dei bambini.

Ed invece la vita che spesso si compiace d’improvvisare e di sorprenderci ti ha fatto incontrare persone ricche ed importanti, hai assaporato la notorietà, le gioie del bel mondo, hai potuto godere di bei regali, begli abiti, un bel conto in banca, una casa acquistata senza i sacrifici delle persone comuni, ed anche prendere un veloce ascensore sociale che ti ha condotta ad essere una personalità politica, invidiata e coccolata.

Però hai dovuto toccar (absit iniuria verbis) qualche culo vecchio e flaccido.

E’ vero, sei giovane ed ignara di molti aspetti dell’esistenza, perché per te ancora lungo è il corso della speranza e breve quello della memoria, ma dopo aver calpestato certi terreni, avresti dovuto accorgerti per tempo di come finiscono certe storie; come quelle di certe ruffiane che, come recita una famosa filastrocca, fanno un gioco…..

che somiglia alla storiella

della donna scanzonata

che, volendo farsi bella,

finì rotta e mal pagata.

E che, se perdi la dignità ed il cuore, hai perso tutto – come diceva Goethe – e sarebbe stato meglio non essere mai nati.

Ecco, questo avrei voluto dire a Nicole Minetti, se fosse stata mia figlia.

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