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Le retribuzioni aumentano meno dell’inflazione

Le retribuzioni contrattuali a marzo hanno registrato un aumento del 2% rispetto allo stesso mese del 2010. Lo ha rilevato l'Istat, ricordando che il tasso d'inflazione annuo a marzo è stato pari al 2,5%. Quindi l’incremento “tendenziale” – cioè rispetto al 2010 - delle retribuzioni è stato inferiore a quello dei prezzi al consumo.

Su base mensile, cioè rispetto a febbraio 2011, la crescita delle retribuzioni si è attestata al +0,2%. Nella media del primo trimestre 2011 l'indice, su base annua, è salito del 2,1%. I settori che a marzo hanno presentato gli incrementi maggiori rispetto a un anno prima sono stati: edilizia (4,6%), militari e difesa (4,3%), forze dell'ordine (4,0%), agricoltura (3,8%). Gli aumenti più contenuti hanno riguardato i comparti ministeri e scuola (entrambi 0,6%), regioni e autonomie locali e servizio sanitario nazionale (0,7% per tutti e due i contratti).

L’Istat ha anche reso noto che alla fine di marzo erano in vigore 40 contratti, che regolavano il trattamento economico di circa 8,1 milioni di dipendenti; a essi corrispondeva il 57,5% del monte retributivo complessivo. Erano in attesa di rinnovo 38 accordi, relativi a circa 4,9 milioni di dipendenti e a un monte retributivo del 42,5%. Nel settore privato era in vigore il 78,4% dei contratti monitorati, con differenze significative però nei vari settori: si andava dal 100% di copertura del settore agricolo, al 94,6% per l'industria e al 60,6% per i servizi privati.

Per quanto concerne il settore pubblico occorre rilevare che a partire da gennaio 2010 tutti i contratti della pubblica amministrazione sono scaduti e rimarranno tali in ottemperanza alle disposizioni della legge 122 del 2010, che stabilisce il blocco delle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012. Questi dati dimostrano che le preoccupazioni circa una rilevante intensificazione del processo inflazionistico non sono fondate. Infatti la crescita delle retribuzioni è stata limitata (non è per nulla in atto la temuta “spirale” prezzi-salari) e, probabilmente, lo stesso andamento delle retribuzioni si verificherà nei prossimi mesi.

Pertanto non è prevedibile un incremento molto consistente del tasso di inflazione e, di conseguenza, per quanto riguarda l’Italia, non trova giustificazione l’adozione di una politica monetaria più restrittiva che, invece, la Banca centrale europea ha già iniziato ad attuare con il recente aumento del tasso di riferimento.

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