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Le foibe nel ricordo fascista

«A Pola c’è l’Arena, a Pisino c’è la foiba: in quell’abisso vien buttato chi ha certi pruriti». Sono queste le parole minacciose e rivelatrici del «Canto dei fascisti di Pisino», ma non c’è più nessuno che ricordi: le camicie nere utilizzarono le foibe per farvi sparire avversari politici slavi. Nella sua Storia della rivoluzione fascista lo scrive e se ne vanta lo squadrista istriano Giorgio Alberto Chiurco.

Se, messa da parte la camicia nera ancora puzzolente del gas utilizzato per le stragi etiopi, fossimo andati come in pellegrinaggio, col capo cosparso di cenere, a chiedere perdono agli slavi per l’italianizzazione imposta col terrore, forse capirei una festa della riconciliazione o una giornata dedicata alla memoria condivisa. Un giorno del ricordo di parte mi pare invece una manomissione delle coscienze.

Noi non abbiamo mai chiesto scusa ai nostri vicini per i paesi bruciati col lanciafiamme assieme alla popolazione inerme nell’intento di togliere ai partigiani di Tito il sostegno della popolazione. Eppure quell’orrore viene fuori terribile e chiaro dalle lettere censurate dall’esercito: «non si sa se dobbiamo combattere i civili o i militari», confessavano i soldati ai parenti«Siamo costretti a prendere d’assalto le case […] costretti ad usare dei lancia fiamme per bruciare delle case dove dentro c’era gente che non ha voluto farsi prigioniera e poi è morta bruciata».

Non abbiamo mai consegnato ai giudici Graziani, Badoglio, Robotti, Roatta e gli altri nostri criminali di guerra, restituendo così all’Italia la dignità che il fascismo le aveva tolto. Non ci siamo mai apertamente vergognati per la guerra portata in Jugoslavia dietro i tedeschi che non l’avevano dichiarata, per Lubiana circondata di filo spinato nel corso di una notte, per le migliaia di uomini rastrellati, per le donne e i bambini rinchiusi a Fraschette di Alatri e a Gonars solo perché slavi. Per quella gente sparita per sempre, non ci siamo vergognati e non abbiamo mai chiesto la carità del perdono per i morti di Arbe, seppelliti in tombe a più strati, in modo che nessuno potesse contarli, mentre morivano di stenti con una frequenza superiore a quella degli internati di Dachau e Buchenwald.

Se mai giungeremo a confessare le nostre terribili colpe, prima di rimproverare agli altri quelle di cui siamo stati i responsabili morali, allora sì, allora forse una giornata dedicata al ricordo condiviso potrà avere senso. Oggi no. Oggi è una tragica farsa.

Prigioniero degli italiani internato ad Arbe

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Giuseppe Aragno (---.---.---.69) 10 febbraio 2019 15:28

    A. Io e Beria non c’entriamo nulla con l’articolo che hai commentato. Ai tempi del tuo Benito era nato mio nonno. Vuoi sapere che fine fece? Fu ammazzato dai cameratii Mussolini. B. Metti i piedi per terra e svegliati. Scoprirai che in quello che ho scritto il comunismo e il Sessantotto non c’entrano nulla. Si parla dell’Italia, prima fascista e poi repubblicana. C. Hai commentato un articolo che non ho scritto, ma una risposta l’hai avuta. Se ti fa piacere continua, ma preparati a un soliloquio.

  • Di giovanni (---.---.---.75) 10 febbraio 2019 18:06

    Le foibe sono la prova, insieme ai campi di concentramento nazisti, che la violenza e l’intolleranza non hanno colore politico

    chi mette sullo stesso piano qualche centinaio di FASCISTI passati per le armi a un intero popolo sterminato un colore politico ce l’ha, ed è quello nero del fascismo.

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