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Le convention, ovvero l’estinzione della politica

 

Se penso all’estinzione del dibattito politico tra i cittadini e alla sua riduzione a critica modaiola e sterile di tutta la classe politica, senza distinzione alcuna, mi giunge in testa, stranamente, il nome di Silvano Moffa. E, nello specifico, i miei pensieri si focalizzano su una convention da lui presieduta, nella quale è intervenuto l’allora premier Silvio Berlusconi, per annunciare che il suo governo aveva tutti i numeri per andare avanti – nel raggio di poche settimane si dimostrò il contrario, ma questa è un’altra storia. Moffa è uno dei saltimbanchi più pregiati della recente giostra politica nostrana, uno dei pochi contorsionisti di regime capaci di districarsi all'interno di mozioni create all'interno di altre mozioni, e così via, fino a tornare al luogo dal quale aveva mosso la sua danza inutile. Ma non è Moffa il fulcro della notizia (probabilmente non è mai stato il fulcro di alcuna notizia rilevante), né tantomeno lo è Berlusconi, i cui interventi autocompiaciuti a convegni e ad altre amenità pseudo-politiche di tale risma, si sprecavano, in quel periodo. Il nucleo di questo contributo è costituito dalla parola “convention” e dalla sua relazione col triste scadimento del rapporto politica-cittadino.

Chi ricorda il proliferare delle convention di politici cosiddetti “scissionisti”, a cavallo tra i mesi di ottobre e novembre dello scorso anno? Era la moda di quel periodo. I tg nutrivano la propria pochezza riempiendo i propri palinsesti fine-settimanali col quarto d’ora di rito dedicato a queste sagre della vacuità politica, offrendo la lista-ospiti (quelli v.i.p. non mancavano mai), i “contenuti” - la sola parola suscitava le risa più sonore di quegli spettatori il cui processo d'imbonimento non era ancora giunto ad uno stadio terminale - , i menù del banchetto, ovvero, i piatti nei quali veniva servito il feretro della coscienza civile di questo Paese, eccetera. E' toccato all'imberbe Renzi, al picaresco Scilipoti e a tante altre entità planctoniche.

La moda delle convention è passata, o quantomeno si è provvisoriamente assopita per poi risvegliarsi a tempo debito, quando quei politici che ci sguazzano dentro avranno deciso di riesumare i propri vestiti – sempre gli stessi – dai loro grigi armadi, che stanno lì, confezionati dai loro sarti docili, riposti accanto ai loro scheletri. L’estinzione del dibattito politico non ebbe comunque inizio nel suddetto periodo, ma in una data non precisamente rintracciabile.

Gli attuali equilibri creati all’interno del governo Monti, fra coalizioni sempre meno distinguibili l’una dall’altra, sono il riflesso di un'evidente perdita d’identità da parte dei partiti politici. Probabilmente, le differenze si sono assottigliate dal momento in cui i leader dei partiti stessi hanno deciso di parlare al loro elettorato (visto sempre più come “pubblico” e meno come “popolo”) utilizzando slogan conformi al marketing strategico piuttosto che argomentazioni critiche. Uno dei rituali storici della politica territoriale, il “comizio”, sta lentamente ma inesorabilmente scomparendo, nella sua più autentica essenza, lasciando spazio a convegni-banchetti in cui il cittadino viene coccolato con parole docili e prive di contenuto, in luogo di argomentazioni programmatiche.

La perdita del dibattito politico tra i cittadini, riversato come si è detto in un atteggiamento qualunquista nei confronti di tutti i partiti, è il risultato, probabilmente, della scomparsa di un contatto tangibile tra il politico, appunto, e la platea che riempiva in passato una piazza in fremito. Inoltre, questo nuovo modo di “rivolgersi” nei confronti del cittadino, da parte della classe politica, tradisce il pieno significato del rapporto di “rappresentanza” tra elettore ed eletto, come se a tale esito non avesse già contribuito abbastanza la famigerata legge elettorale “porcellum”. La succitata giostra delle convention, dunque, si è inserita “confidenzialmente” nel nuovo linguaggio della vecchia politica, e segnala un ulteriore distacco del cittadino dalla Cosa Pubblica. In altre parole, l’attuale odio diffuso e indistinto nei confronti della classe politica tutta, alimentato dai ripetuti casi di corruzione e dall’ampia diffusione, nella popolazione, di notizie riguardanti privilegi ai quali i parlamentari dimostrano di non voler rinunciare, rischia di sfociare in una perdita sostanziale di comunicazione tra popolo e rappresentanti dello Stato e di creare, dunque, un terreno fertile per equilibri politici “anomali”, segnando un momento di pericolosa debolezza democratica, anche perché tutto ciò avviene in un contesto sociale in cui ampi strati di popolazione riversano in una profonda precarietà economica.

Mi torna in mente una frase che Montanelli proferì nel lontano 1982, ai microfoni di Enzo Biagi: “Le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie si suicidano”. In Italia, presumibilmente, non sussiste questo rischio, ma lo scenario finora illustrato rischia di conferire alle parole di Montanelli una certa inquietudine, seppure in lontananza.

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