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Lavoro italiano, più occupati ma meno ore

Nel secondo trimestre, aumenta il numero di occupati ma si riduce il numero di ore lavorate, sia complessivo che per lavoratore. Una divergenza da monitorare con attenzione, data la sofferenza manifatturiera.

L'Istat ha pubblicato il rapporto trimestrale integrato sul mercato del lavoro in Italia, che serve per cercare di identificare tendenze e tentare di comprendere quelli che sembrano enigmi dell’attuale congiuntura. Ad esempio, la crescita del numero di occupati in apparenza ben più vigorosa di quella del prodotto interno lordo, ma non solo quello.

Ebbene, leggiamo dal report:

Nel secondo trimestre 2024, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, è diminuito del -0,2% rispetto al trimestre precedente ed è aumentato dell’1,6% rispetto al secondo trimestre 2023. Nello stesso periodo il Pil ha registrato una crescita sia in termini congiunturali (+0,2%) sia in termini tendenziali (+0,9%). Invece, le ore lavorate per dipendente diminuiscono rispetto al trimestre precedente (-1,0%) e aumentano rispetto al secondo trimestre 2023 (+0,3%).

Calano le ore

Il dato trimestrale è interessante, perché mostra una contrazione sia del monte ore lavorate che di quelle per dipendente. Spiegazioni? Forse un aumento delle ore di cassa integrazione in alcuni comparti. Ipotesi che tuttavia non possiamo corroborare perché Istat pubblica solo la variazione annuale e non quella trimestrale della Cig utilizzata. Al riguardo:

Nel secondo trimestre 2024, le imprese industriali e dei servizi privati hanno utilizzato 7,5 ore di Cig ogni mille ore lavorate, registrando una diminuzione di 5,8 ore rispetto allo stesso trimestre del 2023. In particolare, nell’industria sono state utilizzate 15,9 ore (13,6 ore in meno rispetto al secondo trimestre 2023) e nei servizi 2,2 ore (0,5 ore in meno).

Sarebbe auspicabile che Istat colmasse la mancanza del dato di variazione congiunturale (cioè trimestrale) delle ore effettivamente utilizzate di cassa integrazione (da non confondere con quelle solamente autorizzate), per dare modo di identificare tempestivamente tendenze emergenti. Restano il dato e la divergenza: meno ore, in monte e pro capite, ma più occupati. Interessante osservare che, a livello pro capite, l’aumento percentuale di ore lavorate in un anno resta inferiore a quello del Pil. Quindi forse a livello di produttività non stiamo tornando indietro nel tempo. In dettaglio:

Il numero di occupati, stimati dalla Rilevazione sulle forze di lavoro al netto degli effetti stagionali, aumenta di 124 mila unità (+0,5% rispetto al primo trimestre 2024), attestandosi a 23 milioni 940 mila; la crescita coinvolge i dipendenti a tempo indeterminato (+141 mila, +0,9% in tre mesi) e gli indipendenti (+38 mila, +0,7%), a fronte del calo dei dipendenti a termine (-55 mila, -1,9% in tre mesi). L’aumento del tasso di occupazione, che sale al 62,2% (+0,2 punti in tre mesi), si osserva nel Centro e nel Mezzogiorno, tra le donne e tra gli over 34, rimanendo invece stabile per gli uomini e diminuendo sia nel Nord sia tra i giovani di 15-34 anni. Il tasso di disoccupazione scende al 6,8% (-0,3 punti rispetto al primo trimestre 2024) e quello di inattività rimane stabile al 33,1%.

Interessante anche la disaggregazione dell’aumento del tasso di occupazione. Forse il buon andamento del Mezzogiorno è imputabile alle agevolazioni contributive messe in campo dal governo, mentre la diminuzione che si osserva nel Nord è un dato da tenere presente e una potenziale spia di colore arancio. La concentrazione di attività manifatturiere è maggiore al Nord.

Sulla crescita di numero di occupati e tasso di occupazione, in atto da inizio 2021 e quindi prima dell’arrivo di questo governo, resta l’ipotesi di lettura di evoluzione demografica che segue il rimbalzo post pandemico dei livelli di attività. Il calo di ore lavorate va monitorato con attenzione perché, come noto, i dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire almeno il 50 per cento della retribuzione.

Meno unità equivalenti a tempo pieno

Un riscontro all’ipotesi di decelerazione dell’occupazione “intensiva”, cioè in termini di tempo lavorato, lo si è avuto del resto anche dal dato finale del Pil del secondo trimestre: le unità di lavoro equivalenti al tempo pieno hanno infatti segnato un calo dello 0,1 per cento trimestrale, con una pesante contrazione del settore agricolo ma dati non positivi per industria in senso stretto e costruzioni, che stanno decisamente frenando. Il dato finale è risultato meno negativo grazie al settore dei servizi.

Sintesi? Il malessere della manifattura sta probabilmente iniziando a condizionare il mercato del lavoro, anche se la divergenza tra ore lavorate e numero di lavoratori tende a occultare il fenomeno. Resto della mia idea sull’aumento degli occupati: la componente demografica, che determina la permanenza al lavoro, non può essere sottaciuta né sottovalutata. Non la definirò illusione ottica perché non faccio politica ma tento solo di fare analisi pur se non troppo strutturate e scientifiche. Ma teniamo gli occhi aperti.

 

Foto di Pavlo da Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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