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Lager Sinai

La chiameranno “area di sicurezza”, sarà solo l’ennesima prigione del popolo di Gaza. Trucidato da mesi dall’aria e da terra. Assassinato finora per trentamila volte. Perseguitato per l’intera comunità dai numeri incerti - due milioni - perché incerta è la sua esistenza da quando l’occupazione israeliana terminò nel 2005.

Facendosi, poi, seguire da reiterate mini guerre votate a sterminare prevalentemente civili. Banditesche invasioni dai nomi epici: Giorni di penitenza, Piombo fuso, Piogge estive, Colonna di nuvole, Margine di protezione. Di fatto infamie, perché s’è trattato di operazioni condotte da un esercito ipertecnologico e sostenuto da alleanze mondiali contro un nemico, il Movimento di Resistenza Islamica, composto da miliziani la cui unica arma di livello è un arsenale missilistico celato nella Striscia sotterranea. Ma per un militante di Hamas soppresso, vengono sterminati (è genocidio? non lo è? di fatto sono reiterati massacri) centinaia di civili inermi. Ora la guerra totale che il governo Netanyahu vuole perpetuare oltre ogni limite di disumanizzazione, dopo aver spinto una buona parte ma non tutta la gente di Gaza verso sud, prevede di sfollarla oltre il confine di Rafah. Il presidente egiziano Sisi, preoccupato dal massiccio flusso di profughi, pur controvoglia si presta alla loro raccolta in campi di concentramento mascherati dall’emergenza. Un’emergenza creata dalla foia delittuosa di Israele che ha pianificato la distruzione abitativa dei vari centri della Striscia, l’occupazione armata di oltre la metà dei 42 chilometri di estensione, la desertificazione di qualsivoglia attività di sussistenza, la cancellazione della presenza palestinese nel luogo, come fece nelle aree della Palestina storica trasformate dal 1948 in quello che venne definito Stato di Israele.

Dunque un ghetto extraterritoriale, nel Sinai. Lo denuncia la Fondazione che porta questo nome, una Ong dei diritti umani impegnata in quell’area. Ha di recente ottenuto informazioni da fonti interne all’Egitto che riferiscono di lavori in atto nel Sinai orientale. L’intento è creare una zona recintata e isolata prossima ai confini della Striscia. Lì saranno accolti i rifugiati palestinesi nel caso di un esodo forzato. L’appalto per i lavori è stato assegnato direttamente dalla branca ingegneristica delle Forze Armate egiziane a un rapace affarista vicino al presidente. E’ Ibrahim al Arjani, già distintosi nell’organizzare milizie filo governative per combattere (almeno nelle intenzioni) i gruppi islamisti nel nativo Sinai settentrionale, e da alcuni anni riconvertitosi imprenditore edile, con appalti e affaroni nella valle del Nilo, in virtù della fedeltà al presidente al Sisi. Il campo palestinese sarà recintato con mura alte sette metri e la messa in opera potrebbe risultare rapida perché i lavori proseguono intensi da diversi giorni. Sono stati tenuti parzialmente segreti per evitare che la stampa internazionale ne parlasse. Gli operatori della Fondazione Sinai, avvicinatisi all’area recinzione hanno scattato e pubblicato foto dei blocchi di cemento trasportati fin lì. La zona è compresa fra il valico di Rafah e quello di Kerem Shalom, mentre i confini occidentali si trovano tra il villaggio di Qoz Abo Raad e quello di El-Masora. Gli operatori dell’Ong hanno individuato, accanto agli uomini di fiducia del costruttore e alla milizia 'Fursan Al-Haitham' legata alla coalizione tribale del Sinai, la presenza in loco degli immancabili ufficiali dell'Intelligence militare.

Enrico Campofreda

 

 

 

 

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