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"Laborare est orare": lavorare è pregare... in qualcuno che ci raccomandi

“Laborare est orare”, lavorare è pregare. Anche il lavoro, se fatto con la giusta intenzione, è una preghiera.

Rammento ai più distratti che davanti alla morte si è tutti uguali. Semmai, è il "check-in" che fa la differenza. Consapevoli e inconsapevoli, in fila per varcare le soglie dell'infinito, oltrepassare il gate d'imbarco. C'è quello che se lo sentiva, l'altro colto di sorpresa e pure chi si chiama finalmente libero da un peso insostenibile. I bagagli della vita. Borsa, baule, zaino, fardello, sacco, valigia, scatole di cartone, scatole cinesi per i politici. Fatti a pezzi dalla vecchiaia, inorriditi dalla malattia. Qualcuno attaccato alla canna del gas. L'ossigeno per gli spiccioli di vita resi in resto in una stanza d'ospedale, al metano della cucina per chi ha deciso di farla finita con le bollette.

Se spingersi oltre, in queste frasi, valesse a dire di essere già morti almeno una volta, l'immaginario non impedirebbe comunque una caricatura, il disegno satirico, parodie, la salace rappresentazione dell'aldilà. Un binario morto, un tunnel con la luce in fondo. Schiere di vergini in attesa del dipartito, angeli con la lira che strimpellano nelle orecchie del caro estinto durante l'ascensione. Forconi roventi impugnati come giavellotti da diavoli cornuti con la coda a freccetta da puntatore di mouse.

Luoghi comuni? Icone della fantasia? E che dire allora dei capi di stato che siedono da pari a pari, attorno a un tavolo di mediazione, a decidere dei destini del mondo, con Barack Obama da una parte e dall'altra gente che se ne va in giro vestita come il mago Otelma, una fascia rosso porpora al posto della cintura? E poi si dileggiano gli Ayatollah, le donne di altri mondi nascoste dai maschi nelle vesti monacali con l'optional della mascherina per le mosche sugli occhi. Paura, angoscia, inquietudine. Tormenti dei vivi deputati dalla nascita a ragionare del trapasso. Richiesta di aiuto. Invocazioni dei santi. Suppliche, preghiere. Le mani giunte, il volto chino, le parole mirate in alto a cercare la quiete nell'Onnipotente.

A pensarci bene, basterebbe anche soltanto un potente. “Laborare est orare”, lavorare è pregare. Anche il lavoro, se fatto con la giusta intenzione, è dunque una preghiera. E se preghiera ci vuole, al santo in paradiso bisogna raccomandarsi. Da qui, qualcuno ha voluto elucubrare, tra rimandi, equilibrismi verbali e sinossi da osteria, una chiosa da antologia: “Non c'è nulla di male a raccomandare chi è meritevole”. Ed ecco servite e pronte all'uso, le aziende partecipate. I bilanci, una provvidenziale manna dal cielo. Società create per risolvere problematiche legate all'ingegneristica, all'economia piuttosto che a quelle paesaggistiche, che in qualche caso si scopre non dispongano degli strumenti professionali necessari, in un sospetto ritardo a orologeria.

Il presidente di una regione italiana ci è andato di lama sottile: "L'incapacità di assolvere al ruolo della società in house Abruzzo engineering, che ha avuto sino a 265 dipendenti, assunti perlopiù in maniera clientelare e senza un reale know how. La Regione gli ha girato 40 milioni di fondi UE per sviluppare la banda larga ma di questi, alla Selex, ne sono andati solo nove. Il resto, vale a dire 31 milioni, sono serviti per mantenere la struttura. Non solo. Scopriamo ora che l’Unione europea, sui 40 milioni concessi, ne certificherà solo 5 e dunque 35 saranno a nostro carico. Morale della favola: questo giochetto ci costerà complessivamente 106 milioni e per fortuna che dal 2010 Abruzzo engineering è in fase di liquidazione dopo aver presentato un debito di 19 milioni che non potevo ancora accollare sulla testa dei corregionali".

Cassintegrati stagionati 15 mesi come pezzi di parmigiano del discount; granelli di quella zavorra che i “palloni gonfiati” che ci governano gettano via per rimanere a galla nell'aria. Una inutile disuguaglianza immeritata, arbitraria; svantaggiati dalla distribuzione delle dotazioni iniziali, naturali e sociali. Nascere intelligenti o no, ricchi o poveri non è un merito, si tratta solo di essere più fortunati o meno. Un granello di zavorra nato inutile, usufruibile da qualcun altro, per essere buttato quando serve.

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