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La vita e i libri di Hitler

Nel libro “La biblioteca di Hitler” di Timothy W. Ryback (Mondadori, 2008), viene analizzata la raccolta dei circa 1.300 libri letti dal caporale-Fuhrer che sono arrivati fino a noi.

La collezione completa comprendeva più di 16.000 libri, di cui, dalle annotazioni, si stima ne siano stati letti circa il 15% (del resto si narra che Hitler leggesse almeno un libro a notte). Quasi tutti questi libri sono conservati alla Rare Books Division Library of Congress, all’interno del Thomas Jefferson Building nel centro di Washington (circa ottanta libri si trovano alla Brown University di Providence, nel Rhode Island). Invece l’intera biblioteca della Cancelleria del Reich fu prelevata e portata a Mosca dalla “brigata trofei” sovietica, e pian piano oltre 10.000 libri sparirono nel nulla.

Segnalo inoltre che lo studioso dell’olocausto Rybach è uno dei fondatori e direttori dell’Institute for Historical Justice and Reconcilation a L’Aia, e lavora per l’Académie Diplomatique Internationale di Parigi. Inoltre scrive per “The Atlantic Monthly”, “The New Yorker” e “the New York Times”.

Comunque l’aspetto più rilevante che traspare dal libro di Ryback è questo: “fu Eckart (un drammaturgo!) a plasmare la morbida creta del mondo intellettuale ed emotivo di Hitler” (Ryback, p. 32). Purtroppo i giudizi del regista della storia mondiale Dietrich Eckart sulla politica erano i seguenti: “Non so che farmene di un ufficiale. La gente comune ha perso ogni rispetto per loro. Il meglio sarebbe un operaio che sa parlare. Non avrebbe bisogno di sapere molto. Quella del politico è la professione più stupida del mondo. La moglie di un qualsiasi contadino ne sa quanto un politico. Datemi uno scimmione vanitoso che sappia dare ai rossi quello che si meritano e che non scappi appena qualcuno gli agita davanti una sedia. Lo preferirò sempre a una decina di colti professori che se la fanno sotto dalla paura. Abbiamo bisogno della guida di un uomo abituato al suono della mitragliatrice. Un uomo che possa far cagare sotto la gente dalla paura” (p. 37). Ricordo che nel corso di quegli anni il governo bavarese era in mano ai bolscevichi che minacciavano una secessione: governo che però durò ben poco (a quanto pare il loro ministro degli esteri molto psicolabile trovò pure il tempo per dichiarare guerra alla Svizzera). L’antisemitismo fu instillato in Hitler proprio da Eckart che scrisse un’opera che utilizzava il dialogo con Adolf per dipanare le motivazioni dell’odio contro gli ebrei (Il bolscevismo da Mosè a Lenin: un dialogo fra Hitler e me, p. 41). Eckart facilitò anche l’ascesa di Hitler all’interno del neonato Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (p. 47).

L’industriale americano Henry Ford fu un’altra persona che influenzò molto Hitler col suo libro “L’ebreo internazionale”. Junger invece ispirò Hitler a riguardo della creazione di un’opera di memorie sulla prima guerra mondiale che rimase incompiuta. Perciò fino a oggi esiste solo il libro politico e autobiografico “Mein Kampf” (le mie battaglie). Qui riporto un passo di un libro di Junger sottolineato da Hitler: “La battaglia è un’orribile metro di valutazione di produzioni in competizione e la vittoria è il successo della parte che sa produrre meglio e al minor costo, nel modo più efficiente e più veloce” (p. 82). Queste sono invece alcune frasi tratte dalla bozza incompiuta di Hitler (Target No. 589): “La politica è la storia mentre si realizza. La storia stessa è la presentazione dello svolgimento della lotta per la sopravvivenza di un popolo. La politica è la lotta per la vita” (p. 86). Un altro personaggio che influenzò enormemente Hitler fu Ernst Schertel, con la sua definizione di “uomo ectropico” descritta nel suo manuale dell’occulto (Magie): nell’uomo ectropico non esiste il reale o l’irreale, il vero o il falso, il giusto o lo sbagliato. Dunque fu questa idea di forza irrazionale e amorale a influenzare Hitler più della volontà di potenza di Schopenhauer o del concetto di “uomo nuovo” di Nietzsche.

Sfortunatamente Hitler vide migliorare le proprie prospettive politiche: alla fine del mese di ottobre del 1929 “la borsa di New York crollò e, con lei anche l’economia tedesca. Non più costretto all’inattività dall’emarginazione politica, Hitler abbandonò per sempre ogni progetto letterario. Di lì a tre anni sarebbe diventato cancelliere della Germania” (Ryback, p. 91). Quindi il popolo tedesco non scelse subito il Fuhrer: ci volle la tragica coincidenza di una grave crisi economica e della fatale morte dello statista liberale Gustav Stresemann (Premio Nobel per la pace nel 1926 e ministro degli esteri tedesco dal 1923 fino alla sua morte, il 3 ottobre 1929), per far nascere nei tedeschi il desiderio di vendetta per le inique condizioni punitive del Trattato di Versailles, che dopo la prima guerra mondiale avevano imposto troppi anni di privazioni, fame e umiliazioni. Infatti la revisione delle condizioni di questo Trattato era l’obiettivo politico principale di Stresemann e la sua morte decretò l’inizio della fine della Repubblica di Weimar e della Germania Democratica (anche se Hitler è giunto al potere in modo legittimo tramite libere elezioni).

Ricordo inoltre che l’Hitler bambino fu molto colpito dai rituali inebrianti del rituale cattolico romano e anche dalla svastica scolpita nella chiave di volta dell’abbazia del monastero di Lambach che frequentava spesso (nel manoscritto del Mein Kampf dichiara che da bambino desiderava diventare frate).

Quindi l’ex caporale fu un lettore vorace che si trasformò in uno scrittore malfermo e in un sanguinario dittatore. Hitler si può quindi considerare come un rivoluzionario conservatore: le sue citazioni per atti di coraggio e le decorazioni di guerra (due croci di ferro) dimostrano il suo attaccamento al potere violento e patriarcale precostituito. Infatti il fascicolo che contiene la sua valutazione sui quattro anni di vita militare di guerra riporta questo giudizio: “Comportamento: ottimo. Punizioni: 0”. Poi, a quanto pare, non fumava, non beveva, non andava a donne, non mangiava carne e amava i cani. Insomma era molto simile al classico bravo ragazzo di oggi che va a combattere in Iraq. Tutto ciò dimostra la complessa psicologia di molti individui e mostra come non sia sufficiente leggere o studiare intensamente per apprendere delle buone lezioni di vita. La difficoltà principale consiste sempre nel riuscire a trovare dei buoni libri e dei buoni maestri.

Per chiudere cito Karl von Clausewitz (1780-1831): “è meglio che un popolo collassi in una lotta onorevole, perché solo dopo tale collasso può esserci una resurrezione. Ma guai al popolo che volontariamente si sottomette alla vergogna del disonore e della schiavitù! Un popolo simile è perduto”. E questa “macchia della sottomissione codarda” è il male del cittadino italiano di oggi che non si è ancora liberato da tutti i fantasmi creati dai cinquecento anni di dominazione straniera e dai mille anni di dominazione papale. Ma “coloro che hanno fede dicono che l’ora più buia è quella più prossima all’alba” (Thomas Carlyle, 1858). 

P.S. Tra tutti i modi possibili di procurarsi i libri il più glorioso è quello di scriverseli da sé. (Walter Benjamin). Soprattutto se la qualità di quelli che si vedono in circolazione è sempre più scadente. E per tutti gli uomini e gli scrittori vale questo detto del generale prussiano Alfred von Schlieffen: “Sii più di quello che appari, realizza molto, vantati poco”.

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