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‘La velocità del buio’ e altre questioni nei paraggi: alcune domande a Giorgio Fontana - II parte

[La prima parte, QUI]

 

Perché gli intellettuali dovrebbero ancora essere considerati come ‘categoria a parte’ laddove si trovano scrittori, pensatori e ‘promotori del proprio intelletto’ ovunque (dal bar sottocasa al talk tv, per non parlare delle medialità)?

Perché il vero intellettuale (anche se, ancora, questa etichetta è piena di incrostazioni e malintesi) non è un opinionista. Non vuole promuovere il proprio intelletto o ridurre tutto a chiacchiera da bar: al contrario, vuole fornire un’analisi critica e onesta dei fatti, con in mente un unico obiettivo: la comprensione e la verità. So che può suonare banale, ma ce n’è molto bisogno – in particolare in Italia oggi. L’umiltà di fronte agli eventi e il desiderio di penetrarli concettualmente (invece di buttare tutto nel calderone della retorica o dell’indignazione fine a se stessa) va recuperata.
 
Come rintracciare “il pensiero minoritario” senza scivolare tra club privati e circoli poco inclini al tesseramento? Come riconoscere “i buoni contenuti” che – teorizzi nel libro - l’intellettuale contemporaneo dovrebbe creare e soprattutto «chi» li decreta (buoni o comunque meritevoli di attenzione e rimbombo oltre l’ombelico di chi li ha divulgati, specie nel web)?
 
Questo è veramente un problema cruciale. Purtroppo la scrittura non è riducibile a una mathesis universalis – non abbiamo mai la prova del nove da mostrare a tutti per far vedere che quanto abbiamo prodotto è davvero di valore. Ciò nonostante, ci sono senz’altro delle linee guida, e l’idea della società della conoscenza è proprio questa: fare in modo che sempre più cittadini siano in grado di ragionare autonomamente e riconoscere ciò che a loro avviso è un buon argomento.
Da questo punto di vista credo sia fondamentale evitare qualsiasi forma di, come dici bene tu, “circoli poco inclini al tesseramento”. Bisogna evitare in ogni modo il pensiero della cricca, che purtroppo è molto diffuso in Italia oggi – anche e soprattutto fra intellettuali. Come ho già detto, io credo che un buon lavoro risplenda di luce propria. Magari rimarrà sepolto. Magari non se ne occuperà nessuno, e questo è senz’altro un altro problema grave. Ma benché non abbiamo la prova del nove, come dicevo sopra, non abbiamo nemmeno bisogno di patenti o decreti da parte di altissime autorità per capire se una cosa ha senso o è una boiata.
In sintesi: io sono per rimettere il pensiero al centro, e togliere attenzione dalla figura di chi lo produce. Più di una volta mi è capitato di sentire critiche rivolte a qualcuno (o a me) nel nome del “ma chi cazzo sei” invece del “ma che cazzo scrivi”. Come se una stupidaggine diventasse di colpo saggezza se la dicesse Arbasino. Questo stile di pensiero, dal quale poi discende in automatico il “tu sei dentro / tu sei fuori” (e la conseguente giustificazione di tutto quel che viene detto “dentro”), è il mio nemico assoluto. Anche per questo motivo cerco di starmene lontano da raggruppamenti di qualunque sorta: dal dialogo nasce la verità, ma solo dal dialogo – non dall’intruppamento.
 
 
4.
Nel capitolo ‘Il mio problema biografico’ affronti la questione generazione, quel “Ho trent’anni e questo è un problema… ” va a delineare la breve mappatura d’una generazione “in una condizione fastidiosa”. C’è in queste affermazioni, a mio avviso, una radice rilevante per i successivi ragionamenti. E se alcune delle logiche, dei disagi, dei problemi da te assorbiti e analizzati, fossero altrettanto avvertiti (subiti) da quarantenni o cinquantenni o altre età (come propri, non dei trentenni)?
 
Non credo ci sia una corrispondenza specifica fra la mia età e i ragionamenti che faccio – a parte il punto d’osservazione che, come dico, è diverso perché privo di qualunque nostalgia. Ciò detto, i dati e i fatti che mettono in campo rimangono quelli: e si tratta di problemi che sono comuni a tutte le età, in questo momento storico (perché problemi innanzitutto legati allo stile di ragionamento).
Quanto al problema generazionale in quanto tale, non me ne sono occupato nel libro. Non è escluso però che lo faccia in un altro lavoro. Anzi.
 
La realtà italiana di oggi che vai poi a mappare non è evidentemente una ‘questione generazionale’ in senso stretto, ci sono radici precise nelle evoluzioni storiche degli ultimi centocinquant’anni (come inizi ad intrecciare nel capitolo ‘La velocità del buio’). Ma la generazione di cui fai parte, oggi quali specifiche responsabilità politiche ritieni abbia (rispetto alle logiche centrali del tuo libro)? E generazioni successive?
 
Domanda molto difficile. Io penso che soprattutto non dobbiamo arrenderci al cinismo. Le generazioni precedenti ci hanno consegnato un Paese allo sfascio, ma continuare a ripeterlo non serve a niente. Quanto alle generazioni successive, confesso di essere piuttosto preoccupato. Già il nostro compito è duro e la situazione è brutta; se il vento non cambia non so come faranno loro.
 
 
5.

All’incirca a un terzo del libro inizi a occuparti dell’attuale presidente del consiglio. “Berlusconi come…” è una sorta di tac di ogni possibile maschera, corpo, personaggio (reale o percepito). Dopo l’uomo, però, viene l’idea. Proviamo allora a mettere un punto breve, un granello per avvicinare il lettore ai ragionamenti centrali del libro: chi o cosa è il berlusconismo?
 
Cerco di metterla nel modo più semplice possibile: per me il berlusconismo non è lo stile comportamentale di Berlusconi, bensì lo stile comportamentale di una vastissima fetta di persone in Italia oggi, e ancora di più un germe cui bene o male tutti siamo esposti (non importa la provenienza sociale, l’appartenenza politica, ecc.) Nel dettaglio, si tratta dello spregio per verità, etica e razionalità; con una curvatura tutta italiana e autoindulgente della cosa. Mi rendo conto di usare questo termine in maniera un po’ strana, rispetto alla vulgata, ma mi sembra una definizione più comprensiva.
 
 
6.
Nel periodo della “mercificazione del corpo”, ma anche della coltivazione-addestramento dell’anima-marketing e del tentativo di vendere qualunque cosa: i libri possono ancora essere vissuti come non oggetti?
 
Lo spero fortemente, e in fondo credo di sì: con tutto il pessimismo del mondo, mi sembra difficile da credere che in un futuro prossimo i libri diventino prodotti come altri. So che viviamo tempi cupi dove la magia della scrittura e della lettura si sta perdendo – soprattutto per come i libri stessi vengono comunicati. Ma, accidenti: ci sarà sempre qualcuno lì a sentire i brividi, a commuoversi, a gioire mentre legge.
 
 
7.
Concludendo con un tentativo di sostanza: cosa può fare un italiano per uscire da alcune delle problematiche di cui ti occupi se proprio ‘la velocità del buio’ “veicola uno spaesamento fatto di analfabetismo funzionale e disprezzo della cultura”?
Nello “svuotamento semantico” da te argomentato nel libro, che peso può ancora avere la Parola, tra priorità pratiche del vivere quotidiano quali le economie, i legami, l’abitare da qualche parte in qualche modo (i ritardi nei treni, gli aumenti dei beni di prima necessità, i corpi perduti, i lavori in nero…)?
 
Io credo che sia necessario recuperare il valore della buona argomentazione e della logica: il rapporto veritativo della parola con le cose. Questo è il compito più urgente, una sorta di premessa fondamentale a qualunque tipo di discorso – etico, politico, sociale e così via. Altrimenti siamo condannati a una notte dove tutte le opinioni hanno pari valore e dunque niente ha più valore: dove l’idea stessa di cercare il vero e il gusto perde d’importanza. E dunque, dove la sola cosa che conta è il potere e l’abuso di potere.
Inoltre, ritengo ci sia un rapporto molto stretto fra lo sfacelo della logica e della razionalità e lo sfacelo della morale. Quando si disimpara a ragionare – o meglio, quando viene legittimato pubblicamente che il buon ragionamento è inutile – segue quasi subito il trionfo dell’irresponsabilità. Per evitare questa deriva l’unico modo che conosco è tornare al pensiero critico. Limitarsi a gridare non serve a niente, né da una parte né dall’altra. In questo senso, la parola deve trovare nuova dignità. Fuor di metafora, deve smettere di essere usata come puro veicolo di passioni del momento, e tornare a essere veicolo di senso. Di buoni argomenti.
 
 
Ringrazio Giorgio Fontana.
 
 
 
Il sito dell'autore.
La scheda del libro.

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