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La sposa promessa

Film dei riti e delle norme, familiari e religiose, da queste ultime sovente le prime dipendono e il risultato è che le donne stanno più spesso davanti ai fornelli o accudiscono i bambini, camminano dietro agli uomini in alcune circostanze e le vengono scelti, o proposti, i mariti. Gli uomini invece vanno in sinagoga, si dedicano alla preghiera e perciò affidano i bambini, come fagotti, a mani femminili; sono pure i maggiori attori, così sembra, di quei riti, nei canti ma anche nelle bevute.
 
Proprio le regole familiari non scritte creano la trama del film (e del libro da cui deriva) e le relative tensioni e struggimenti. Soprattutto da parte di Shira, diciottenne desiderosa di convolare a nozze: molto espressivo il suo viso nell’ansia di conoscere, in un supermercato, il fidanzato designato. Nei disegni della madre c’è però per lei un’unione strategica con Yochai, uomo avvenente rimasto vedovo della sorella di Shira, Esther, morta nel parto che ha dato la luce al piccolo Mordechai. A questo modo il bambino resterà nella famiglia, di lui già si occupa con successo la stessa Shira (la sua fisarmonica lo tranquillizza) e la nonna non lo perderà di vista.
 


È un film principalmente di silenzi e di sguardi, tutti più eloquenti dei dialoghi, soprattutto quelli tra Yochai e Shira, che risultano spesso banali, solo funzionali alle complicazioni e all’attesa che tra i due si crea. A Shira appariva dapprima sacrilego occupare il posto che è stato di sua sorella, dice al rabbino che vuole conoscere le sue intenzioni: “Non è una questione di sentimenti, c’è un compito da svolgere e vorrei che tutti fossero soddisfatti di me”. Questo “compito” diventerà pian piano attesa e attrazione, coronata da un emozionatissimo prematrimonio e dalla promettente scena finale dei due che la sera delle nozze si trovano per la prima volta del tutto soli nella stanza da letto.
 
Potrebbe risultare insussistente il film, per una trama molto semplice, salvo che per i costumi e gli usi ebraici che ci fa conoscere, per i quali bisogna avere rispetto senza contrapporvi sbrigativamente comportamenti occidentali: una società dove sono più gli uomini a rappresentare e a rappresentarsi, ma dove le donne guidano. Risulta invece emozionante attraverso gli occhi trepidanti di Shira (Coppa Volpi al Festival di Venezia per la migliore interprete femminile), il vuoto della trama viene colmato dal suo viso che attende, ma non sarà per questo che il titolo originale sia “Fill the void”. 

 

 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.93) 1 dicembre 2012 10:44

    Aggiungerei un piccolo particolare che qui mi pare che sfugga. La giovane Shira viene interrogata da un Rabbino di maggior "importanza" su quello che vuole fare in merito al matrimonio. Le sue risposte sono tutte inerenti al suo "dovere", al fatto che il matrimonio sarebbe "giusto" e così via. E il gran Rabbino dà il suo parere negativo. Coglie evidentemente che c’è, nelle risposte della giovane donna, un’assenza di qualcosa di affettivo. Solo in un secondo tempo, quando la donna torna da lui con una diversa disposizione d’animo, le nozze saranno "permesse".
    Quindi un microcosmo in cui non si lascia che i diritti e i doveri prendano il posto dei sentimenti. E anche questo non ci si aspetterebbe in una società, poco conosciuta, che siamo portati a interpretare con qualche malignità. Ricordiamoci che la regista è un’ebrea ortodossa che appartiene a quel mondo.

    • Di angelo umana (---.---.---.43) 1 dicembre 2012 11:59
      angelo umana

      Ciao, no, il particolare è grossissimo, non mi sfuggiva, ho citato la risposta di Shira  “Non è una questione di sentimenti, c’è un compito da svolgere e vorrei che tutti fossero soddisfatti di me”. Che poi il sentimento stava "montando" (v/ quando Yochai dà un passaggio a Shira, e i pensieri che di Shira si indovinavano) è una verità, che farei prescindere dal fatto che il gran rabbino permetta le nozze. Però grazie per il tuo articolato commento.

  • Di (---.---.---.93) 1 dicembre 2012 12:58

    certo che i sentimenti prescindono dal permesso del gran rabbino, ma mi ha stupìto che il gran rabbino anteponga la necessità che la giovane donna agisca dando libero corso ai sentimenti piuttosto che ai "compiti da svolgere"; questo mette in luce un particolare di quella cultura che, per ignoranza, non immaginavo avendone data una lettura sulla base di pregiudizi. Grazie a te per l’articolo.

    • Di angelo umana (---.---.---.250) 1 dicembre 2012 15:38
      angelo umana

      Ottime osservazioni le tue. Io non so, e ne ho qualche dubbio, se l’anteporre del rabbino la necessità che la sposa si prometta per sentimento faccia parte di quella cultura, che anch’io non conoscevo. A me il rabbino è sembrato molto più una persona di buon senso che un’autorità, a tutti suggerisce la cosa giusta o più opportuna, gente comune gli si rivolge per questioni quotidiane, aiuta perfino un’anziana nella scelta del forno ... Mi ha fatto pensare al giudice del tribunale iraniano in "Una separazione" di  Asghar Farhadi, ma quello era già più "legge", giustizia, spicciola ma giustizia. Riguardo però al volersi sposare di Shira a me il film ne ha fatto venire in mente  un altro, una commediola, con Luca Zingaretti che faceva il cuoco di grido e "gustava" tante donne, la cosa è molto banale e avrebbe banalizzato la recensione ma vi si diceva: "le donne a un certo momento vogliono sposarsi ... chi c’è c’è!". Ciao!

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