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 Home page > Tribuna Libera > La sfida di vivere con solo 100 cose

La sfida di vivere con solo 100 cose

Consumare, di per sé, non è un gran verbo.
Implica, al tempo stesso, voracità e spegnimento.
Eppure ci dicono che la crescita si riattiverà solo se riprendiamo a consumare.

Ma ora, davanti al baratro delle disuguaglianze e allo spettro della povertà, vogliamo ancora continuare a consumare ciò che in realtà non possiamo permetterci? 

Si è frantumato lo specchietto per allodole del credito facile, accessibile a tutti, a prova di ogni desiderio. E non c'è Stato che ci protegga dall'insaziabile mercato che ci ha resi tutti consumatori, annullandoci come cittadini e come persone.
 
Anzi, ne è complice asservito; e mentre il capitale rimane impunito, è al lavoro che si chiede di pagare i cocci rotti. Li stiamo pagando sotto forma di tasse e di smantellamento dello stato sociale, di democrazia svuotata del proprio valore perché anch'essa ridotta a merce. Una merce quotidianamente svilita, che vale poco o vale ancor meno in funzione del debito pubblico, della percezione che il mercato ha della nostra capacità di ridurlo e ripagarlo.

Il sistema non si rassegna e continua a vederci e volerci consumatori. 

Se cosí è, disponiamo di un'arma potentissima per cambiare le cose radicalmente, dal basso: iniziare a consumare in modo diverso. Con coscienza. Nella consapevolezza che la popolazione mondiale cresce a ritmi vertiginosi mentre le risorse del pianeta si esauriscono inesorabilmente. Imparando che non sempre è necessario possedere per usufruire, che si può condividere.
 
Dicendo no con discernimento all'eccesso dell'offerta, che rende tutto vecchio e superato in tempi brevissimi e ci impone il superfluo.
E' questo il primo passo per affrancarsi in modo personale dalla schiavitù del mercato: smettere di essere consumatori e tornare ad essere uomini e donne che decidono di non lasciare alle generazioni future solo i miseri avanzi del nostro banchetto.


Negli Stati Uniti imperversa  "100 thing challange" di Dave Bruno, la sfida di vivere con solo 100 cose, né più né meno. E moltissima gente ha iniziato a vuotare soffitte e cantine, disfarsi (anche vendendo o barattando, non necessariamente gettando via) di tutto ciò che in un passato recente sembrava loro indispensabile e che presto è diventato inutile perché soppiantato velocemente dal nuovo.

E' solo questione di riconoscere, finalmente, che abbiamo abbastanza. E' questione sociale, politica ed etica; i tre vincoli -sempre più fragili- da cui il mercato vorrebbe sganciarsi definitivamente. Dipende anche da noi, dalle nostre scelte di vita quotidiana, impedirlo.

 
(di Monica Bedana)

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.221) 2 febbraio 2012 15:19

    Forse 100 cose sono troppe, o troppo poche. O meglio, se veramente vogliamo dare una svolta alla nostra vita e di conseguenza alle sorti del pianeta dovremmo metterci in testa di non acquisire altri stupidi, inutili oggetti che non ci servono.
    Ad esempio, oltre a ciò che è strettamente necessario per il quotidiano... spazzolino, automobile, pc, io almeno salverei 100/150 libri e questo mi porterebbe già oltre.
     Sono dell’opinione che sarebbe più efficace, non sbarazzarsi dal vecchio, ma rivalutare il desueto nella quotidianità.
    Riparare ciò che è riparabile e non gettare un oggetto (ad es. un elettrodomestico), magari comprato da poco perché si è rotta una parte... provate a fare un giro in una discarica per rendervene conto.
    E per rendervi conto di cosa significhi la parola "superfluo", provate a fare un giro nella scarpiera di mia cognata.

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