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La riforma presidenziale e la comunicazione

Il capo dello Stato sollecita le riforme e così anche l’Europa. Si parla di presidenzialismo, di semipresidenzialismo, di democrazia partecipata, di referendum, di abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, il tutto a prescindere dal contesto in cui il processo riformatore si colloca. Viviamo in un società mediatica e globalizzata e di questo non sembrano accorgersi i politici, attenti solo alle convergenze partitiche fondate su un mero equilibrio di potere che prescinde dalla migliore definizione delle riforme da un‘analisi di tutto ciò che circonda il nostro passato, il nostro presente, il nostro futuro.

Tener conto del contesto mediatico significa tener conto della incidenza degli strumenti comunicativi sulle riforme, e degli effetti che essi hanno già prodotto, e di quelli che potranno produrre. La macchina mediatica produce cultura, influenza comportamenti, cambia la società e dunque noi stessi. Oggi la tv condiziona le iniziative politiche, le promuove, le supporta o le affossa, seleziona la classe dirigente dei partiti.

Ieri il personale politico veniva scelto dal partito, sulla base delle capacita di gestire una sezione, di governare un comune, di appartenenza correntizia. Oggi basta saper stare in tv. Chi è più bravo a stare in televisione, acquista più potere nel partito e fa carriera.

E tutto ciò permea e condiziona il semipresidenzialismo ,e quindi l’elezione diretta del presidente della repubblica, in tutte le sue fasi, dalla candidatura alla presidenza, alla elezione, alla definizione del programma alla sua realizzazione.

La selezione dei candidati alla presidenza avviene non in ragione della loro capacità di risolvere i problemi del Paese, ma della loro capacità di ottenere consenso. E il consenso si ottiene con una buona campagna elettorale e con la capacita del candidato di stare in tv.

Ma la campagna elettorale costa. E allora, nella scelta del candidato, viene valutata anche la sua capacità di ricercare ed ottenere finanziamenti privati, stante l’abolizione del finanziamento pubblico.

Ma fondamentale è la capacità di stare in tv e di indurre stima ed apprezzamento. Berlinguer, Moro, se fossero vissuti oggi, non sarebbero stato mai candidati a presidente. Questi erano politici capaci di risolvere i problemi della gente ma non di fare spettacolo. In tv funziona il meccanismo pubblicitario, non conta la bontà del prodotto, ma come esso si presenta al popolo. Non conta il buon politico, ma il buon comunicatore.

E tutto ciò ha ancora più valenza se si pensa ai riflessi sui programmi di questi nuove funzioni del politico comunicatore. È chiaro che un candidato procacciatore di consensi e di finanziamenti, una volta presidente, privilegerà i punti programmatici che suscitano consenso rispetto a quelli risolutivi ed efficaci, quelli che accontentano gli sponsor rispetto a quelli che accontentano la gente.

E se diventano presidenti i comunicatori e quelli che trovano finanziamenti privati, e non quelli più utili al paese, la domanda da porsi è se si vuole continuare in questa scia o cambiare rotta .Se si vuole il politico capace o un buon comunicatore,se si vuole o meno il, ritorno della politica.

Il problema non è il ruolo del Presidente della Repubblica arbitro o giocatore, ma il ruolo della politica. Si vuole una politica a fabbrica del consenso o fabbrica di risposte e soluzioni ai problemi del paese.

Il consenso per una persona o per un’iniziativa, si crea con la visibilità, ma anche con una buona rappresentazione che suscita favore ed apprezzamento, e soprattutto e con la sua ripetizione, per la sedimentazione del consenso acquisito. Funziona il meccanismo pubblicitario. In quest’ottica, l’obiettivo non è la rappresentazione reale ed onesta dei candidati, ma indurre la gente ad apprezzarli. E qui viene fuori il controllo dei mezzi di informazione che assicura e garantisce quella buona rappresentazione e la sua continuità, quella rappresentazione che crea consenso, che enfatizza le buon proposte le buone iniziative del padrone e nasconde le sciocchezze.

Per questo si pensa alla regolamentazione del conflitto di interessi, alla abrogazione della legge Gasparri per il pluralismo dell’informazione, come necessari contrappesi al potere mediatico. Del resto, una modifica delle forme di governo non può prescindere da un equilibrio tra poteri, tra gli organi costituzionali, tra parlamento governo e capo dello Stato, ma anche tra questi e i poteri non costituzionali.

Per questo, deve tener conto del ruolo subalterno avuto fino ad oggi, del Parlamento rispetto al governo e al capo dello Stato, ma anche dei partiti rispetto al potere mediatico.

E allora prima di invocare un rafforzamento dei poteri del presidente, occorre chiedersi, se questo primato dell’esecutivo e del capo dello Stato rispetto al parlamento, è stato prodotto dal meccanismo istituzionale o dalla debolezza della politica, se ha funzionato, se ha prodotto buoni risultati.

Certamente risolvere il conflitto di interessi non basta, occorre stabilire un giusto rapporto tra gli utenti e la tv ed internet. Occorre intervenire sul modo di comunicare e di trasmettere, e quindi superare quello che tende a modellare comportamenti e pensieri delle persone, e ad annullare la loro capacità critica. Occorre incentivare una comunicazione che liberi il cervello della gente, da quel torpore indotto dal mezzo televisivo e dalle manipolazioni. Non si chiede l’impossibile. Vi sono programmi e trasmissioni, che esaltano la capacità critica degli utenti. I programmi di Fazio e di Augias su muovono in questa direzione.

Fino a quando ci sarà una comunicazione che influenza e plasma le menti, non ci potrà mai essere il semipresidenzialismo, e quindi l’elezione diretta del Presidente della Repubblica.

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