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La ricerca della vita aliena

A proposito della sconfinata vastità del cosmo in cui ci si perde anche solo con il pensiero, Einstein sosteneva che la cosa più incomprensibile dell’universo è paradossalmente la sua comprensibilità, il suo rendersi intelligibile alla mente umana, la quale infatti è giunta, nel corso della Storia, a conclusioni insperate quanto incredibili, che pongono però alla nostra attenzione sempre nuovi interrogativi, aprendo un infinito susseguirsi di porte che non giunge mai alla meta definitiva, quella a cui noi tutti, consciamente o meno, aneliamo: la “causa causarum”, cioè la Causa prima da cui tutto è cominciato.

Se fino a poco tempo fa, questa Causa veniva sbrigativamente e astrattamente identificata in un Essere Supremo, oggi come oggi i traguardi della Scienza sono giunti a scandagliare anfratti e discoprire realtà tali in cui l’ottimistica presupposizione di un Essere Supremo appare quantomeno problematica se non in flagrante contraddizione con i dati dell’esperienza e dell’evidenza. Nonostante i discorsi che si sono fatti a partire da Papa Giovanni Paolo II sulla sintonia tra Scienza e Fede, in realtà, allo stato attuale delle conoscenze, l’una smentisce l’altra, e, soprattutto, la Scienza smentisce il pilastro biblico, coranico e di altre religioni sulla “creazione dal nulla”.

Ragion per cui la maggioranza degli astronomi, oggi, è orientata su posizioni nettamente pessimistiche per quanto riguarda il divino. Il grande astronomo statunitense Steven Weinberg ha affermato: “più l’universo è comprensibile, più ci appare inutile.” Questa frase, che una volta sarebbe costata al suo autore il rogo, in due battute getta un fascio di luce inquietante su quella che, a meno che uno non voglia forzare i dati oggettivi disponibili, appare indubitamente la caratteristica principale dell’universo: la sua completa e clamorosa inutilità. Peggio: lo spreco assoluto, il dispendio di energie e forze colossali senza una causa e uno scopo apparente, e che dunque si svolgono all’insegna dell’insensatezza, secondo il metro logico della mente umana.

L’acume speculativo di Carl Sagan, un altro grande astronomo americano, oggi defunto, in una frase divenuta celebre, mise in luce uno dei lati più sorprendenti e paradossali della madornale realtà cosmica in cui ci troviamo: “Se vuoi fare una torta di mele, devi prima fare l’universo.”

Che è come dire: un contesto enorme come l’universo è il presupposto di cose piccole piccole, se non insignificanti. In altre parole: come si spiega l’enorme sproporzione tra lo sconfinato spazio cosmico indifferente che vive di vita propria e la minuscola vita umana?

Se c’è una cosa da invidiare all’America, è l’alto livello dei suoi scienziati-astronomi, avulsi dalla politica e da preconcetti religiosi, aperti e pronti a dibattere temi e problematiche allargate oltre il proprio ambito, il che non è frequente nel campo della scienza ufficiale: scienziati instancabili e tenaci nella ricerca, che hanno pochi uguali in Europa e in Italia. Nonostante la NASA e l’ESA (l’Ente spaziale europeo) siano spesso in collaborazione reciproca (oltre che in competizione), bisogna riconoscere che la NASA, per il gran numero di addetti, la dovizia di mezzi di cui dispone, la fama, la fiducia e l’incoraggiamento costante di cui è circondata a livello governativo, soprattutto dopo l’invio della sonda marziana “Curiosity” perfettamente atterrata sul pianeta rosso (Marte) e la spettacolare riparazione in orbita del telescopio spaziale Hubble (riparazione costata alla Nasa l’”astronomica” cifra di quasi 600 milioni di dollari!), molto difficilmente potrà essere superata. E ciò nonostante l’ESA vanti programmi assai ambiziosi, e l’ASI (l’agenzia spaziale italiana) rappresenti una realtà di tutto rispetto in un ambito così difficile e specialistico, come sta a dimostrare il “Sardinia radio telescope”, il telescopio attualmente più grande d’Europa, costruito vicino a Cagliari nel 2012. (Non si sa se per caso o per intenzione, la Repubblica italiana non ha voluto essere seconda al regime Fascista che in piena guerra, nel 1942, ultimò il telescopio “Galileo”, allora il più grande d’Europa).

Ma c’è una nuova branca della scienza astronomica, fino a pochi decenni fa inesistente, inconsistente o comunque non sufficientemente considerata, che è quella della ricerca della vita extraterrestre. Ciò che prima era confinato per lo più in ambito fantascientifico, adesso è diventato parte integrante della speculazione scientifica, dopo la discoperta del primo pianeta extrasolare, avvenuta per opera di due scienziati svizzeri che nel 1995 appurarono l’esistenza di un pianeta attorno alla stella 51 Pegasi, situata a circa 50 anni luce dalla Terra.

Attualmente, i pianeti extrasolari accertati sono svariate centinaia –per lo più megapianeti di tipo Gioviano, più facilmente rilevabili proprio per la loro massa-, il che rende legittimo concludere che i sistemi solari siano la regola, e dunque potrebbe essere una regola anche l’esistenza di pianeti adatti alla vita, simili alla Terra, sui quali la vita si sia sviluppata o si possa sviluppare fino a raggiungere forme evolute intelligenti di livello pari, superiore o molto superiore alla nostra.

Ma è proprio qui che la speculazione scientifica s’inceppa, perché, se da una parte l’enorme vastità del cosmo fa pensare all’estrema difficoltà d’imbattersi nella vita Aliena (intesa anche come forma primitiva unicellulare), tuttavia vi sono considerazioni e ragionamenti i quali, al contrario, inducono a pensare che la vita Aliena noi dovremmo averla già incontrata, e in particolare una vita Aliena super-intelligente. Se lo spazio –con le sue condizioni e distanze proibitive- fa da ostacolo a questo incontro, è il tempo che dovrebbe favorirlo, giacché il fatto che l’universo sia vecchio 13 miliardi di anni e la nostra galassia poco di meno, dovrebbe aver fatto sì che almeno una civiltà galattica abbia avuto tutto il tempo di formarsi, sviluppando non solo un livello tecnologico molto avanzato in grado di coprire direttamente o indirettamente le enormi distanze fra le stelle, ma anche un altissimo livello di conoscenze astronomiche tali da poter dare risposte dalle quali noi restiamo ancora assai lontani.

Ebbene: di questa grande civiltà galattica che a rigor di logica dovrebbe esserci, noi non abbiamo fin qui rilevato traccia. Non solo tutti i tentativi di ascolto tramite radiotelescopi sempre più potenti e sofisticati si sono rivelati senza esito da quasi sessant’anni a questa parte, ma senza esito sono rimaste altresì le rilevazioni di quei grandiosi segnali artificiali visibili nel cosmo che una civiltà galattica dovrebbe lasciar intravedere di sé: in altre parole una civiltà galattica dovrebbe aver costruito, se non le “sfere di Dyson” ipotizzate dall’omonimo scienziato inglese in grado di catturare l’energia solare, comunque delle complesse sovrastrutture spaziali più o meno simili a quelle ipotizzate da Dyson, nel proprio sistema solare e oltre.

Ebbene, tutte queste complesse costruzioni artificiali di una civiltà galattica sarebbero rilevabili agli infrarossi, in quanto emanatrici di calore. Ma anche in questo caso, come già per i segnali radio, le fervide speranze di molti volonterosi scienziati si sono infrante contro la desolazione implacabile della risposta, che fino ad ora presenta alle osservazioni all’infrarosso (in particolare al telescopio a infrarossi Wise della Nasa) l’assenza di quelle megastrutture artificiali che si pensava di rilevare.

Per quel che riguarda specificamente i segnali radio, anche ammesso, come molti ammettono, che una grande civiltà li considererebbe superati, e userebbe preferibilmente i laser, anche su questo fronte di ricerca, che nel centro italiano di Tradate in provincia di Varese ha il suo punto di eccellenza, per ora non si è rilevato nulla.

Stante queste considerazioni, il grande silenzio che inesorabilmente ci sovrasta e fa da risposta ostinata a tutti i tentativi di scalfirlo, ha portato alcuni scienziati a concludere che siamo soli nella galassia, o comunque non vi è una civiltà di livello sufficientemente avanzato in grado di comunicare.

Carl Sagan, che, assieme a Francis Drake, tanto sperò in un contatto alieno a breve termine negli anni sessanta, dovette presto ricredersi. La Nasa stessa, irritata dagli insuccessi, sospese i fondi pubblici, e da allora il progetto SETI –com’è chiamato il progetto della ricerca della vita intelligente extraterrestre-, prosegue con finanziamenti privati. Attualmente, anche se da parte di scienziati più ottimisti provengono rassicurazioni che l’incontro con la vita Aliena prima o poi avverrà ed è solo questione di qualche decennio, in realtà nessuno è più in grado di avanzare su quest’argomento deduzioni le quali abbiano anche solo una probabilità scientifica di essere vere. Ma una cosa è certa: si è passati dall’esagerato e ingenuo ottimismo degli scienziati ottocenteschi i quali credevano vi fosse vita aliena anche sulla Luna, su Marte e su Saturno, al pessimismo degli scienziati odierni, i quali, in possesso di nozioni scientifiche ben più vaste, sono giunti alla conclusione che la questione della vita extraterrestre non è così semplice come si credeva, e gli extraterrestri non sono vicini nè raggiungibili, o, comunque, se lo sono, per qualche ragione non vogliono o non possono comunicare con noi. Proprio su quest’argomento si sono fatte strada ridde di ipotesi, dalle più bizzarre alle più serie, e perfino drammatiche, come quella del celebre astrofisico britannico Stephen Hawking, secondo il quale la supposta civiltà galattica costituirebbe per noi un pericolo mortale e dunque sarebbe meglio non andarla a cercare nè tantomeno incontrarla. Per tale motivo le civiltà mediamente avanzate tenderebbero a nascondersi più che ad appalesarsi, e questa potrebbe essere una delle ragioni per cui non riceviamo alcun segnale.

Lord Martin Rees, l’astronomo privato della Regina Elisabetta, considerato uno dei più grandi astronomi del mondo, ha affermato che gli Alieni potrebbero essere alquanto diversi da noi, che inevitabilmente indulgiamo all’antropomorfismo, ragion per cui la comunicazione con essi risulterebbe assai problematica. Al recente Festival della Scienza a Cheltenham, ha espresso la considerazione che gli insormontabili limiti biologici e fisici degli esseri viventi nell’esplorazione dello spazio, fanno sì che siano i robot –e robot altamente sofisticati- a sostituirsi ad essi in eventuali viaggi interstellari. Personalmente io andrei più in là, perché, a mio parere, un’intelligenza superiore extraterrestre sarebbe certamente in grado di inviare nello spazio più propriamente sonde bioniche, cioè macchine sofisticatissime cui sono state applicate una o più funzioni e strutture biologiche, e che quindi potrebbero apparire simili in tutto o in parte a una creatura vivente: proprio come si vede in certi film di fantascienza. E sono queste le entità –non già gli Alieni veri e propri- con cui noi potremmo eventualmente entrare in contatto o avere incontri ravvicinati anche del terzo tipo.

Tutto ciò rende il mistero extraterrestre ancora più inquietante, e pone anzitutto una domanda: a quali ordini e a quali criteri si atterrebbero le presunte sonde bioniche inviate da una presunta civiltà galattica, una volta individuato un pianeta abitato da esseri intelligenti? La mia modesta risposta è: lo catalogherebbero, inviando i dati alla base.

E poi?…

Il buon senso e la ragione che sono la migliore guida dell’uomo, se da una parte ci spingono a essere realisti, dall’altra certamente non bastano a dare risposta a un quesito così complesso, che potrebbe presentare risvolti impensati. Pure, nonostante le paure che ognuno legittimamente può nutrire intorno all’aspetto e alle reali intenzioni degli Alieni, resta il fatto che la Scienza va avanti, sperando di trovarli, come affermato da Jill Tarter, per tanti anni direttrice del progetto SETI, perché a fronte del grande silenzio che ci sovrasta, c’è un grande enigma che impone all’Uomo la sfida più formidabile della sua Storia, la cui risposta cambierebbe per sempre la sua vita. Sapere se è solo. E se no, chi sono i suoi “compagni” di viaggio. Ma è tutt’altro che semplice capirlo in questa sconfinata immensità apparentemente senza causa e senza scopo, di cui nessuno fino adesso è riuscito a discoprire l’intricato bandolo.

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