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La "nuova" Cina è pronta per il libero mercato?

Si intitola "Cina 2030", un rapporto analitico sul futuro dell'economia del gigante asiatico, commissionato dal Governo alla Banca Mondiale e al Development Research Center (think tank di area pechinese) di cui il Wall Street Journal ha pubblicato un'anticipazione.

La crescita tumultuosa degli ultimi anni, che hanno reso la Cina leader tra i così detti paesi emergenti (insieme a India, Brasile, Russia e Sudafrica, NdR) non bastano a giustificare l'enorme macigno che pesa profondamente sul sistema economico locale: la presenza onnicomprensiva dello Stato in tutti i settori strategici: energia, assicurazioni, infrastrutture, banche, alta finanza, immobiliare. Non c'è comparto che non sia saldamente gestito e controllato dallo Stato centrale, che penalizza e soffoca qualsiasi forma di libera concorrenza ed iniziativa privata. 

Un problema che rischia di strangolare la Cina nei prossimi anni, con un taglio drastico del tasso di crescita ed il rischio di una crisi del settore bancario, come rilevato dalla stessa World Bank nel suo rapporto. I risultati effettivi della gestione statale non sono poi così incoraggianti, sia sotto il profilo strettamente economico che della governance. Spesso i grandi gruppi di stato cinesi si trasformano in carrozzoni poco efficienti, con scarsi profitti, trasparenza limitata, dovuta anche ad un intreccio diabolico di partecipazioni incrociate. 
 
Il massiccio sbarco in borsa di questi colossi pubblici non ha infine prodotto cambiamenti rilevanti. Il problema è proprio a monte e ha radici profonde e lontane. I primi "nemici" storici di questa deriva statalista furono il presidente Jiang Zemin ed il premier Zhu Rongji, che sotto la loro guida a metà degli anni novanta, ridimensionarono e smantellarono gran parte dell'industria pubblica inefficiente, concentrata soprattutto nell'area Nordest di Pechino. 
 
A partire dai primi del Duemila ci fu però un'inversione di rotta, trainata principalmente dal governo attualmente in carica. Oggi i gruppi di Stato operano nell'oro, godendo di abbondanti linee di credito quasi illimitate, che strozzano invece gli investimenti e la crescita delle imprese private. Con l'avvento di una nuova stagione politica si auspica che il trend possa cambiare.
 
Tra un anno esatto il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao, dopo un decennio al potere, passeranno il timone per raggiunti limiti d'età. A raccoglierlo saranno probabilmente due uomini di punta della Quinta generazione di comunisti cinesi: Xi Jinping e Li Keqiang, destinati a governare la Cina per i prossimi dieci anni, salvo imprevisti. 
 
Le prime "indicazioni" su quale potrà essere la "svolta" economica del Dragone provengono dallo stesso presidente della Banca Mondiale Peter Zoellick
La Cina deve ridurre il ruolo delle aziende di Stato, rompere i monopoli, allargare la proprietà dei gruppi pubblici e abbassare le barriere all'entrata per le imprese private
Riuscirà la nuova leadership cinese ad avere la forza e la determinazione necessaria per intraprendere un nuovo percorso di riforme in senso liberale? E soprattutto sarà in grado di rivitalizzare un settore privato che comunque, per giro d'affari, rappresenta oltre i due terzi del Pil cinese?
Staremo a vedere. 

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