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La ’ndrangheta (quarta parte)

Sembrava una giornata come le altre a Seminara, un piccolo comune della provincia di Reggio Calabria. C’era un cielo terso, tirava un venticello piacevolissimo. Alcune persone erano dedite alle compere, dei ragazzini gioiosi giocavano rincorrendo un pallone, delle coppiette innamorate si scambiavano delle effusioni.

Invece era la quiete prima della tempesta.

Un urlo agghiacciante proveniva all’interno di una salumeria e subito dopo da quel negozio una testa mozzata venne scaraventata fuori, all’aperto. Dei ragazzi che attendevano all’uscita della salumeria cacciarono le pistole e la testa venne utilizzata per fare il tiro a segno. Una scena degna di un film di Quentin Tarantino, invece no, è successo veramente.

E questo fu uno degli innumerevoli episodi di carneficina tra ’ndranghetisti.

Come già vi ho spiegato, la struttura mafiosa calabrese è organizzata in maniera orizzontale, non hanno una cupola o un capo dei capi come la mafia siciliana. Ma è anche vero che alcune ’ndrine vogliono avere una maggiore influenza rispetto alle altre. La prima guerra di mafia è nata per la costituzione della Santa e per il traffico di droga.

All’epoca le andrine che contavano maggiormente furono quelle dei Macrì, i Piromalli e i Tiripodo. I capo bastoni erano molto attaccati alle tradizioni, ai riti agro-pastorali e non ne volevano sapere di andare sottobraccio con le istituzioni, di avere insomma rapporti con gente importante, anche con le divise, oppure di trafficare stupefacenti.

Sono vecchi e non accettano il "cambiamento".

Ma i giovani delle cosche emergenti, specialmente i De Stefano di Reggio Calabria, il cambiamento lo vogliono eccome. E vogliono tanti, ma tanti soldi.

Così scoppia la prima faida interna, una vera e propria guerra generazionale che vede una specie di ricambio, fuori i "vecchi" e dentro i "giovani". E tanti morti, se ne erano arrivati a contare oltre i novecento.

Così numerosi anche perchè, eliminare un’andrina, vuol dire continuare ad uccidere finchè l’ultimo maschio della famiglia non sarà morta. Un po’ come facevano i conquistadores per eliminare gli indios ribelli, non bastava solo uno, ma dovevano sterminare tutti i consanguinei, anche i parenti più lontani. Oppure come le tragedie greche dove si uccidevano padri e figli, e figli dei figli. Insomma uccidono intere generazioni.

Macrì era un capo bastone molto anziano e temuto. Negli anni cinquanta era già in ottimi rapporti con il boss dei Corleonesi. Già all’epoca aveva la doppia affiliazione con Cosa Nostra. Lui aveva conosciuto, quando erano ancora piccoli, sia Riina che Provenzano.


Negli anni settanta non volle accettare la svolta "istituzionale" e dell’entrata nelle logge massoniche e quindi fu ucciso dopo che aveva finito di giocare a bocce dalle altre andrine emergenti. Era una specie di boss dei boss Macrì, ma morì con ben 32 crivellate e finito con altri due colpi di mitra al petto a alla testa perchè respirava ancora.

Poi c’era un altro capo bastone che doveva essere ucciso, un certo Don Mico Tripodo. Lui invece muore lontano, a Napoli. E precisamente nel carcere di Poggio Reale.

Nel carcere era recluso Raffaele Cutolo, il fondatore della Nuova Camorra Organizzata e chi meglio di lui aveva la possibilità di uccidere nel carcere? I De Stefano si son messi d’accordo con Cutolo dandogli la possibilità di affiliarsi alla ’ndrangheta e addirittura farlo entrare nella Santa e successivamente nel Vangelo.

Dopo aver pagato una guardia carceraria per aprire la cella di Don Tripodo, due serial killer lo sorprendono nel sonno e per paura che non morisse lo massacrano di coltellate. Il Tripodo ebbe la forza, prima di morire, di alzarsi dalla branda in cui dormiva e chiuderli dentro la sua cella. Gli assassini cercarono di sviare le indagini sui presunti mandanti, raccontando agli inquirenti di aver ucciso Tripodo perchè il boss regino aveva fatto loro proposte sessuali.

Insomma, la guerra, oltre a costituire la Santa, servì a consolidare i rapporti dei gruppi emergenti con la Nuova Camorra Organizzata e con Cosa Nostra.

Questa è la prima guerra, poi c’è stata anche la seconda. Nata semplicemente per motivi chiamiamoli "affaristici".

A Gioia Tauro si doveva costruire il quindo centro siderurgico dell’Italia. Quindi arrivano le ’ndrine , che sono già pronte con le ditte per gli appalti, i camion e le macchine per il movimento terra. E arrivano anche le ditte del Nord che prendono contatto con le ’ndrine e si mettono d’accordo. I costi degli appalti lievitano di un quindici per cento fisso.

E la ’ndrangheta diventa sempre più ricca.

Talmente ricca che per riciclare il danaro, ha comprato interi quartieri di alcune città Tedesche. In Calabria esistono centinaia di attività commerciali proprio della ’ndrangheta e che a differenza dei commercianti "onesti", loro sono costretti a fatturare tutto quanto. Per assurdo i mafiosi non evadono le tasse.

Hanno tanti soldi e la seconda guerra di mafia era nata per dare un freno ai De Stefano, la loro ’ndrina stava esercitando un dominio quasi incontrastato.

Anche questa faida è stata sanguinaria e forse ancor più feroce. Si concluse nel 1991 con la morte di una persona non mafiosa, anzi forse l’unica di una onestà senza precedenti. Era il giudice Scoppeliti e fu ucciso dalla ’ndrangheta perchè voleva finire il lavoro del giudice Falcone e Borsellino. Si perchè la mafia siciliana aveva chiesto aiuto alla mafia più forte e sanguinaria di tutti i tempi: la ’ndrangheta. Che un certo periodo volle cambiare addirittura nome e chiamarsi Nuova Cosa Nostra.

La più schifosa ed è la più filo- istituzionale della storia di tutte le mafie.

Commenti all'articolo

  • Di Lea Brandini (---.---.---.58) 28 settembre 2009 11:43

    Carissimo Incarcerato, grazie ancora per questa ultima puntata .
    Vorrei dirti due cose :
    1) Il giorno dell’uccisione di Falcone i due ragazzi calabresi miei compagni di casa all’epoca dell’università dissero che Falcone era stato ucciso perchè parlava troppo e perchè non si faceva i fatti suoi. Eravamo sei studenti universitari ragazzi e ragazze in un appartamento tutti incollati al televisore per seguire le notizie sull’orribile strage mentre loro due stavano zitti e scornati emisero anche la loro sentenza. Non è un giudizio sui calabresi assolutamente ma ci tengo a sottolineare come anche le giovani leve, pur andando all’università e istruendosi rimangano legati a certi schemi tipici della cultura mafiosa.

    2) Ho frequentato per lungo tempo una ragazzo il cui padre appartiene alle forze dell’ordine ed è stato per circa 4 anni in un paesino, Melìto, a pochi chilometri da Reggio Calabria e dove , innanzitutto il padre non gli permetteva di raggiungerlo se non per un paio di settimane nel periodo estivo, e dove stando ad alcune indiscrezioni li c’era tutta un’orgazzazione mafiosa autonoma e molto potente.

    Lea Pavia

    • Di l’incarcerato (---.---.---.203) 28 settembre 2009 13:43

      Grazie Lea per averci riportato questa tua esperienza.A proprosito dei due ragazzi, ex compagni di casa, che frequentavano l’università questa è la dimostrazione che non basta avere solo un titolo di studio importante per avere la cultura della legalità. Purtroppo, gli uomini potenti della ’ndrangheta nell’immaginario collettivo vengono considerati degli uomini ignoranti e privi di cultura. Invece, haimè, è l’esatto contrario.

      Comunque avanti con l’inchiesta vedremo come questa criminalità organizzata è ben radicata su tutto il territorio italiano, anche in regioni insospettabili.

      Un abbraccio!

  • Di ultras (---.---.---.250) 28 settembre 2009 19:59

     Ma questo che è stato scritto per caso mi sembrano le parole dj Carlo Lucarelli nella puntata blu notte misteri italiani sembra un copiato

    • Di l’incarcerato (---.---.---.21) 28 settembre 2009 23:52

      Si caro Ultras, lo stile di questo articolo<è quello. Ma ti sfido a trovare una sola parola copiata visto che carlo lucarelli si è si occupato della ’ndrangheta ma non ha parlato di Seminara e nemmeno della seconda guerra della ’ndrangheta.

      I fatti sono quelli, normale che alcuni avvenimenti che ho scritto possano essere stati raccontati anche da altri.

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