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La grande lezione di Ratzinger, il diritto a non emigrare

L’incremento dei flussi migratori diretti verso il Vecchio Continente nel corso degli ultimi anni ha rafforzato l’importanza dell’immigrazione come elemento cardine e centrale del dibattito politico dei diversi Paesi europei. La grande frattura tra sostenitori dell’accoglienza e difensori delle frontiere, divenuta cifra distintiva di un dibattito sempre più statico, è frutto di una consapevolezza solamente parziale del tema, che prende in considerazione solamente la linea di faglia dell’impatto tra gli immigrati e le società ospitanti e non la gigantesca portata di un fenomeno globale.

di Andrea Muratore

Nel mondo interconnesso di oggi, sono circa 240 milioni i soli migranti per motivazioni economiche, a cui vanno aggiunte decine di milioni di persone scacciate dalle proprie patrie da conflitti sempre più feroci (Siria, Iraq, Sud Sudan, Nigeria e via dicendo) e innumerevoli sfollati interni cacciati dalle proprie case da guerre civili, crisi economiche, catastrofi ambientali.

Mentre l’ideologia economica dominante predica l’abbattimento delle barriere e la libera circolazione incondizionata per merci e capitali, il movimento del fattore fondamentale dell’economia stessa, l’uomo, è molto spesso forzato, frutto di costrizione o figlio della disperazione e, al tempo stesso, sfruttato, ostacolato e complicato da una miriade di fattori, dall’odiosa pratica della tratta di esseri umani alla speculazione politica compiuta sulla pelle di immigrati reali o potenziali.

In questo contesto, il movimento di persone su scala planetaria è tale da poterci portare a parlare di una nuova Völkerwanderung di portata globale: lucidamente, in un’intervista a Limes il Ministro dell’Interno Marco Minniti ha sottolineato l’impossibilità di pensare a strumenti capaci di fermare completamente i flussi migratori, avvenimento di portata storica a cui i governi devono sapersi preparare.
L’ampiezza del fenomeno e le tragiche conseguenze che per molte persone la scelta di emigrare comporta inducono a una riflessione profonda sul tema delle “migrazioni” e, soprattutto degli aspetti politici e sociologici ad esse connessi. A pensare, in altre parole, se la scelta della tutela delle possibilità di emigrazione per i rifugiati e i profughi di guerre, epidemie e collassi economici e dei loro canali d’accesso alle società occidentali sia la scelta migliore per tutelare i nuovi dannati della Terra o se la questione possa essere ulteriormente approfondita.

Una grande lezione, in tal senso, viene dalle dichiarazioni pronunciate da un grande protagonista della storia recente, molto spesso ingiustamente sottovalutato: Joseph Ratzinger. Nell’ottobre 2012, pochi mesi prima di rinunciare al ruolo papale, Benedetto XVI si espresse in maniera significativa definendo l’emigrazione un “pellegrinaggio di fede e di speranza” destinato molto spesso a risolversi in tragedia, per colpa “del traffico di essere umani, della povertà e dell’esclusione sociale di cui sono oggetto i nuovi arrivati, soprattutto se donne e bambini”.

Rivolgendosi ai governanti dei Paesi recettori di migranti, Ratzinger si dichiarò favorevole a pratiche di gestione dei flussi che non si risolvessero né nella chiusura indiscriminata né in un simulacro di apertura che fosse presupposto di sradicamento, evidenziando poi l’importanza del “diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra”. Altrimenti, “invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa un ‘calvario’ per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria”. Parole forti e dense di rilevanza, parole che invitano a riflettere approfonditamente sulla genesi lontana delle crisi migratorie, molto spesso legate a scelte politiche scellerate, interventi “umanitari” ipocriti e politiche economiche neocoloniali avallate dai governi del campo occidentale, oppure determinate strumentalmente dal cinismo di governi dispotici e odiosi come quello di Isais Afewerki in Eritrea.

Parole, soprattutto, che testimoniano la lucidità e la profondità del pensiero e della visione del mondo di Ratzinger e sono la migliore risposta a coloro che cercano, oggigiorno di trasformare il Papa Emerito in un’icona reazionaria, nonostante dopo le dimissioni dal soglio di Pietro egli abbia scelto un ritiro umile, intimo e riservato lontano dall’attenzione mediatica e dall’ingerenza nelle scelte del suo successore.

Il “diritto a non emigrare” è, in sostanza, il diritto per i potenziali migranti e i loro Paesi di provenienza a un rispetto completo, a trecentosessanta gradi, capace di prevenire il loro stato di indigenza prima ancora che di limitarne le conseguenze, l’invito a una reale cooperazione tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo capace di dare i propri frutti, campo in cui l’Italia può dare importanti lezioni, come testimoniato dall’egregio lavoro di Cuamm e Comunità di Sant’Egidio in Africa.

Un’interessante mossa è stata compiuta di recente dal Primo Ministro polacco Mateusz Morawiecki nel corso della sua visita in Libano: il leader di Varsavia ha infatti annunciato una donazione di dieci milioni di euro per la costruzione di moduli abitativi per profughi siriani nel Paese dei Cedri, in modo tale che, come riporta Lorenzo Vita su Gli Occhi della Guerra, “il loro ritorno a casa sia, in futuro, più facile. Una scelta lungimirante che dimostra anche intelligenza, dal momento che più possibilità hanno i rifugiati di vivere vicino al loro Paese, meno sono le chance che intraprendano le rotte migratorie per essere strappati dalle loro terre d’origine”.

La lezione di Ratzinger sul “diritto a non emigrare” offre spunti e chiavi di lettura interessanti, e sottolinea una volta di più la profonda grandezza umana e personale di un Papa che ha saputo essere influente e lungimirante, ma che è stato a lungo sottovalutato e schernito in virtù della sua personalità schiva e della sua ritrosia alla ribalta mediatica. Un uomo che, prima di compiere il grande gesto di svelare il lato umano della carica più antica del pianeta, ha dimostrato saggezza e conoscenza del mondo: del “diritto a non emigrare” sentiremo sicuramente parlare molto in futuro, dato che la tutela di questo diritto aprirebbe a nuove, importanti discussioni, sulle cause primigenie e fondamentali delle nuove “migrazioni di popoli”.

Andrea Muratore

Questo articolo è stato pubblicato qui

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