• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Tempo Libero > Cinema > La grande bellezza e il genio di Sorrentino

La grande bellezza e il genio di Sorrentino

All’ammirazione di Roma silenziosa ed estasiata di un gruppo di turisti giapponesi, uno dei quali muore fotografando e col sorriso davanti a questa beltà (“vedi Napoli e poi muori” vale anche per Roma dunque) e alla sacralità del canto solenne di un coro femminile, si contrappongono le successive immagini di una festa “di grido” in una terrazza romana, sullo sfondo della pubblicità luminosa “Martini” (famosa terrazza essa stessa). Il padrone di casa e anfitrione è Jep (Servillo), navigato viveur e re della mondanità, uno che sembra aver visto tutto, disilluso e cinico, capace di organizzare eventi mondani ma, dice, soprattutto col potere di non darvi luogo. Ha 65 anni e ha scoperto che non deve perder tempo con le cose per cui non ha interesse; un uomo pieno di disincanto, domina quel “circo” ma allo stesso tempo lo disprezza. Il circo è di persone alla ricerca disperata di divertimento, di notorietà, che nei balli fanno “trenini che non vanno da nessuna parte”. La fauna che popola le feste sembra soprattutto carne, esibita e donata, di corpi anche belli oppure decrepiti, tutti sotto le luci diventano maschere grottesche, protese alla ricerca incolmabile del piacere e di piacere.
 
È chiaro che Jep è ormai distante da questo glamour che ha creato - “alla mia età una bella donna non è più abbastanza” - sembra cercare una spiritualità che il frastuono ha coperto, ma la vacuità del circo è evidente, l’insoddisfazione permanente della fauna umana che si esibisce, vuota di senso e di rapporti sinceri. Ha curiosità di una vita normale, lui che sorseggia brandy continuamente e va a dormire quando altri si svegliano; chiede a una coppia ordinaria “cosa fate stasera?” e sembra avere il desiderio di starsene a casa davanti alla televisione, come quei due. Una nuova amica 42enne di Jep ha le magnifiche fattezze della Ferilli, esibite in spogliarelli che le servono per curarsi da un male; lei dice “non sono portata per le cose belle”, ma l’umanità che ha attorno non ha nulla di bello o di meritevole, intorno c’è una decadenza che le bellezze di Roma o le magnifiche immagini (come un volo di aironi o le scie di aerei nel cielo azzurro) non possono redimere. “Vite devastate” ma anche depravate, inconsistenti, vite finte, rapporti inutili, volti disfatti in un Paese di “debosciati”, fanno pensare a quelle navi senza più governo che vagano alla deriva, con gli occupanti che, inconsapevoli, spendono il tempo come sempre.


 
Un film monumentale, dei monumenti di cui è ricca Roma e dei magnifici palazzi, ma anche dei numerosissimi personaggi che lo arricchiscono e che sembrano rappresentare la nostra società, dove “per farsi prendere sul serio, bisogna prendersi sul serio”, pratica molto diffusa nella nostra realtà di “popolo di intervistati”. Il vuoto e l’apparenza come stile di vita o come fede, che però non appaga le ansie. Il misterioso vicino di casa di Jep, occupa l’appartamento con terrazza sopra di lui, si scopre che è un latitante e si definisce “uno che porta avanti il Paese”, che sarà anche vero a modo suo, in un Paese in rovina. C’è il cardinale (Herlitzka), in odore di papato, che salvo la veste non ha differenze dagli invitati di questa insulsa società, dove anche lui cerca gaudio magno. Una decrepita e improbabile “santa” è invitata a una cena da Jep per raccogliere fondi per i poveri, è la 104enne suor Maria, che si dice viva in un paese africano e che dorme per terra, percorre in ginocchio con dolori indicibili la “scala santa” e vien da chiedersi a cosa possano servire i voti e le penitenze della religione ad una umanità che non vuole saperne. Jep, che è pure giornalista, vorrebbe intervistarla ma la santa gli dice che “la povertà non si racconta, si vive”. Un ciarlatano inocula botulino ai famosi che, in attesa del loro turno, letteralmente popolano il suo loft, a 700 euro al colpo.
 
Un parterre de rois di attori che si rendono benissimo verosimiglianti alla realtà che Sorrentino descrive, magnifiche interpretazioni di ognuno con Servillo, Verdone e Ferilli che sono i personaggi più vicini ad una forma introspettiva, umana, con l’apparizione sporadica (e inspiegabile) di Venditti e perfino di “madame Fannie Ardant”, figure che appaiono una notte di sfuggita. La “santa” chiede a Jep perché non ha scritto più libri dopo l’unico famoso che produsse molti anni prima: lui risponde che cercava “la grande bellezza” ma non l’ha trovata, e questa è una verità incontrovertibile guardando cosa lo attornia, un ambiente che lui stesso ha inseguito. Il suo bisogno di ritrovarsi sembra farsi strada quando rivede le sue radici, il mare e il ricordo della ragazza che conobbe a 18 anni. Un Sorrentino geniale, come sempre.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.201) 28 agosto 2013 18:09

    Molti hanno criticano questo film, ma io l’ho amato dall’inizio alla fine. Sorrentino e’ uno dei miei registi preferiti e il suo modo di raccontare gli eventi mi ha sempre affascinato. Questo ultimo film e’ stato comunque una sfida. E non mi stupisce che la critica non l’abbia apprezzato. Ho di tutti i precedenti film di Sorrentino le locandine dei film, ma de La Grande Bellezza non l’ho trovato e ho deciso di crearlo da solo con un programma di stampa online. Alcune scene del film sono quasi barocche e per queto ho voluto rendere il mio manifesto un po’ baroccheggiante.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares