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La festa di tutti, insieme ai rom. Anche

Ogni anno in autunno la Comunità di Sant’Egidio organizza una festa in una piazza della periferia milanese; si chiama Living Together. Oltre ai volontari della Comunità partecipano cittadini del quartiere e gente di fuori, tutti quelli – anziani, rom, nuovi italiani – con cui per tutto l’anno si dividono percorsi di integrazione. Quest’anno la festa si è svolta in Piazza Gabrio Rosa, al quartiere Corvetto, il 22 settembre. È forse l’unica festa in cui non si mangia e non si vende niente, e probabilmente anche questo contribuisce a mettere in risalto il rapporto di amicizia e serenità che lega le persone. È proprio questo lo stile che caratterizza Sant’Egidio: in prima battuta c’è il rapporto personale, non l’erogazione di servizi, e proprio questa si è rivelata la chiave vincente alla base di percorsi anche difficili, spesso a torto ritenuti impossibili, come quello raccontato di seguito.

22 settembre 2013

Oggi a Corvetto si è vista una cosa che da sola valeva tutta la festa, e non solo: un po’ prima delle 18, non so bene chi abbia cominciato, mi sono accorta che tutte le nostre donne erano davanti al palco e ballavano la loro musica.

Di feste rom con balli ne abbiamo viste tante, ma sempre con una certa aria da balera e di routine. Oggi era diverso. Le donne erano leggere, sicure, a loro agio, la danza era parte di loro, gli usciva dalle braccia, dai piedi, dal corpo, come se fosse stata chiusa da tanto tempo e ritrovasse l’orgoglio di essere guardata e la sicurezza di essere un’arte bellissima. Molte danzavano a occhi chiusi, tutte con un sorriso felice. Le più anziane erano diventate giovani e leggere, le giovani si tenevano ai margini del gruppo, molto più timide, tutte venivano fuori in un modo che non abbiamo mai visto: rom più del solito, molto di più, ma nel senso bello del termine.

Ho avuto l’impressione che quel modo romantico che molti hanno di vedere i rom e che a noi dà un certo fastidio, abbia un suo fondamento. Forse c’è davvero una parte di loro che tra problemi e condizioni di miseria non ha tempo né occasione per uscire. Da quel ballo ho imparato qualcosa di più. Gli uomini si sono aggiunti dopo, in un gruppo a parte, ma la cosa non è decollata, non erano liberi né spontanei, le donne sì.

Penso a quanto debba essere brutto non poter esprimere una parte di sé, e quanto invece sia stato bello per loro far uscire a fiume una spontaneità nascosta senza paura del giudizio, in una piazza piena di gagi, con serenità e orgoglio. E non è un caso se è successo questo, né si può dare il merito alla musica che a un certo punto è stata trasmessa: credo che anche questo episodio sia un termometro importante dei percorsi che sono stati fatti per ridare dignità attraverso il rispetto, l’amicizia, il lavoro, la scuola e tante altre cose.

Durante il pomeriggio tutti ci siamo accorti di quanto i “nostri rom” siano cambiati e siano diversi da quelli che non conosciamo ma troviamo nei campi o per strada. Basti pensare al gruppo che stava sdraiato nei giardinetti prima dell’inizio della festa: quelli sono rom sdraiati, i nostri sono rom in piedi. E che l’integrazione non solo non abbia fatto dimenticare la loro cultura ma addirittura sia stata la strada che ha permesso di esprimerla, mi pare ancora più importante. Stefano citava la moglie di Valentin. È stata veramente un simbolo. Insomma, una festa importante.

 

Flaviana Robbiati per “Segnali di fumo – il magazine sui Diritti Umani”

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