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La disoccupazione continua a crescere. Qual è il suo rapporto con la crisi?

Il quesito che ci si dovrebbe porre è: quanto la crisi economica dipenda e nasca dalle difficoltà effettiva di produzione o quanto sia, invece, l'inevitabile conseguenza della flessione della domanda sui prodotti che hanno curve di consumo elastiche, contrazione dovuta in parte non indifferente dall'aumento dei disoccupati e quindi dal crollo dei consumatori.

L'Istat ha rilasciato i dati relativi a luglio 2012 sulla disoccupazione, che si attesta al 10,7%, meglio di quanto previsto (10,9%), ma sempre un numero allarmante. Su base annua cresce del 2,5%, 2 milioni 756 mila disoccupati che vuol dire un aumento del 33,6% (più di 600 mila unità) di persone in cerca di occupazione. L'altro fattore da considerare è l'aumento dei salari che si attesta intorno all'1,5%, non confortante, di sicuro insufficiente a compensare l'inflazione e i rincari.

Analizzando le varie fasce d'età, si nota che coloro che cercano lavoro tra i 15 e 24 anni, rappresentino un terzo degli attivi, cioè 618 mila unità.

Da questi dati può partire una profonda riflessione sulla crisi e su che incidenza abbia il rapporto dissocupazione/consumo su di essa, facendo attenzione a non cadere nella trappola dei facili populismi e trasformandola in un parodosso senza fine, come potrebbe essere "è nato prima l'uovo o la gallina?", ma cercando di renderla utile al fine di trovare soluzioni mirate, per un problema concreto.

Più che capire l'origine della crisi, che alcuni economisti hanno già individuato nelle prime bolle speculative statunitensi già nel lontano 2001 e nel crollo successivo del mercato degli immobili, trovo più utile comprendere i rapporti che legano il mercato del lavoro alla domanda del consumo, cercando nuovi strumenti che possano spezzare quello che sembra un circolo vizioso, destinato ad autoalimentarsi all'infinito.

Churchill sosteneva che un paese che cerca di uscire da un periodo nero, economicamente e socialmente parlando, semplicemente autotassandosi all'infinito, è come un uomo che messo dentro a un secchio, cerchi di sollevarsi, tirando per il manico. E questo è tanto più vero, quanto le tasse che vengono aumentate sono indiscriminate, come nel caso dell'iva e colpiscono il consumatore in generale senza avere rapporto con la sua curva di benessere.

Senza entrare in inutili tecnicismi, basta capire che la curva esprime il rapporto tra due funzioni, (ad esempio benessere/spesa) ed ogni stato individuale è diverso ed è determinato da fattori iniziali come le risorse. Per individui diversi, valori uguali possono esprimere stati di benessere molto differenti. Ad esempio 5 euro spesi per un pacchetto di sigarette, pesano diversamente su chi ha uno stipendio di 3000 euro rispetto a chi ne prende 1200, per cui quella spesa produrrà punti sulla curva molto distanti. Così si capisce come le imposte indirette penalizzino, non solo le fasce più basse di reddito, ma anche disincentivino i consumi alla base della domanda, creando proprio quell'effetto domino che tanto sta pesando sul nostro paese.

Altro fattore da considerare è l'elasticità dei beni. Non tutte le domande dei prodotti reagiranno allo stesso modo a una contrazione dei salari rispetto al costo della vita. I consumi tenderanno ad essere ridotti in quei settori che vengono considerati superflui, mentre "reggeranno" nei beni di prima necessità.

Questo vuol dire che alcuni mercati, in un momento di forte ribasso economico, sono destinati a perdere più di quanto sia grave in media la situazione finanziaria, trascinandosi dietro tutto l'indotto legato a quel genere di impresa. 

L'introduzione di un surplus sul prezzo che non determina maggiore benessere (come appunto una tassazione indiretta) sposta verso il basso il punto di benessere, aumentando l'estacità del bene e conseguentemente esponedo il mercato a variazioni maggiori della domanda.

In un momento in cui la stabilità dovrebbe essere il primo punto da raggiungere, non sembra che adottare una politica di cieca austerità possa aiutare, servirebbero invece interventi mirati a spostare verso l'alto le curve di benessere dei lavoratori, riportando i consumi a livelli accettabili, creando la possibilità di nuovi posti di lavoro. Esattamente il contrario di ciò che si sta attuando oggi.

Aumentare il potere d'acquisto dei consumatori più deboli vuol dire iniettare denaro liquido nel mercato, in maniera diretta e veloce, facendo ripartire l'economia proprio da dove si è fermata. Questo meccanismo permetterebbe di aumentare la produzione in modo naturale, facendo salire anche l'offerta del lavoro, proprio perchè l'elasticità del consumo è tanto più forte quanto sono minori le risorse.

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.197) 1 settembre 2012 09:46
    Damiano Mazzotti

    Il rapporto con la crisi è questo: ci sono in giro robot molto produttivi e macchine automatiche che sfornano migliaia decine e decine di prodotti al minuto.E i robot e le macchine non possono comprare niente.

    Quando arrivò la rivoluzione industriale si lavorava dal sorgere del sole al tramonto o comunque circa 12 ore al giorno. Poi si è passati a 10 e a 8 ore al giorno grazie al socialismo e al buon senso di chi aveva capito che siccome la maggior parte del lavoro e della produttività era ricavata dalle macchine, non aveva senso continuare a far lavorare tante ore gli uomini.

    Oggigiorno grazie ai programmi gestionali informatici anche il settore tecnico-amministrativo è colpito da "eccessi" di produttività.

    Per compensare questi accadimenti dovrebbero lavorare tutti per un massimo di 6 ore al giorno per 5 giorni a settimana allo stesso stipendio di prima. Ma questa cosa dovrebbe essere resa obbligatoria in tutti i paesi aderenti al WTO (Organizzazione Mondiale per il Commercio), Sarebbe anche una cosa molto equa, poichè in molti paesi del mondo quasi tutti i dipendenti pubblici seguono un orario ufficiale di circa 6 ora giornaliere, anche se in genere ne svolgono di più facendo più straordinari (a volte non retribuiti).

    Le persone avendo più tempo libero sarebbero incentivate a spendere, soprattutto i soldi risparmiati per andare a lavorare. Poi bisogna aumentare i giorni di ferie per incentivare il turismo e la distribuzione del denaro: chi guadagna molto in vacanza spende molto di più degli altri e in genere frequenta paesi più poveri di quello in cui vive, riequilibrando i bilanci dei diversi paesi.

    E ricordiamoci di ringrazia il socialista francese Leon Blum che ci fece ottenere le lunghe vacanze estive. Per questo al mondo servo diverse forze politiche.

    Il sistema bipolare americano è un sistema vecchio. Pure il Regno Unito oramai ha tre grandi partiti principali. Il sistema democratico americano è decotto e in mano alle multinazionali che hanno gioco facile a pagare entrambi i partiti che conoscono da anni i loro polli. Finchè negli Stati Uniti non sorgerà una terza forza politica ci sarà la crisi finanziaria e ci saranno centinaia e centinai di americani che moriranno in guerre assurde prolungate all’inverosimile pur di far guadagnare la loro unica industria all’avanguardia.
    Senza calcolare le migliaia di feriti, anche senza braccia, gambe o viso, di cui quasi nessuna parla. 

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