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La difficile Unione dei risparmi e investimenti

La strategia della Commissione Ue verso l'unione dei risparmi e investimenti necessita di "sacrifici" nazionali, in termini di incentivi fiscali e cessione di sovranità regolatoria. Ma c'è anche chi vuole accelerare i deflussi di capitale.

“La Commissione Europea ha adottato la sua strategia per l’Unione dei Risparmi e degli Investimenti (SIU), un’iniziativa chiave per migliorare il modo in cui il sistema finanziario dell’UE canalizza i risparmi verso investimenti produttivi. Si propone di offrire ai cittadini dell’Ue un accesso più ampio ai mercati dei capitali e migliori opzioni di finanziamento per le imprese. Questo può favorire la ricchezza dei cittadini, contribuendo al contempo alla crescita e alla competitività economica dell’Ue”.

Questo è l’incipit della comunicazione ufficiale della Commissione. In dettaglio, l’Unione dei risparmi e investimenti viene definita un “facilitatore orizzontale” che creerà un ecosistema di finanziamento a beneficio degli investimenti negli obiettivi strategici dell’Ue, che sono cambiamento climatico, tecnologico e nuove dinamiche geopolitiche, leggasi stretta mortale di Trump e Putin e assedio di prodotti cinesi.

Come indicato dal rapporto Draghi, servono 750-800 miliardi annui entro il 2030 per finanziare solo gli investimenti civili. A cui ora si sommano quelli per la difesa. Questi fabbisogni di investimento riguardano soprattutto le piccole e medie imprese e le aziende innovative, che non possono affidarsi esclusivamente al credito bancario.

I soldi sul conto corrente

Il “problema” è che gli europei tengono sui conti correnti risparmi per circa 10.000 miliardi di euro e si privano della possibilità di farli rendere di più, a beneficio della crescita europea. Come si nota, su scala Ue si riproduce il tormentone dei risparmi fermi sui conti che noi italiani ben conosciamo. La Commissione identifica quindi quattro filoni di intervento:

  1. Cittadini e Risparmi: I risparmiatori svolgono già un ruolo centrale nel finanziamento dell’economia dell’Ue attraverso i depositi bancari ma dovrebbero avere l’opportunità, se lo desiderano, di detenere una parte maggiore dei loro risparmi in strumenti di mercato dei capitali a maggiore rendimento, anche in vista della pensione.
  2. Investimenti e Finanziamenti: Per stimolare gli investimenti, in particolare quelli nei settori critici, la Commissione introdurrà iniziative volte a migliorare la disponibilità di capitale e l’accesso per tutte le imprese, comprese le piccole e medie imprese.
  3. Integrazione e Scalabilità: Ridurre le inefficienze derivanti dalla frammentazione richiederà importanti sforzi per rimuovere eventuali barriere normative o di supervisione alle operazioni transfrontaliere delle infrastrutture di mercato, della gestione patrimoniale e della distribuzione di fondi. Questo consentirà alle aziende di scalare in modo efficiente in tutta l’Ue.
  4. Supervisione Efficiente nel Mercato Unico: La Commissione proporrà misure per garantire che tutti i partecipanti al mercato finanziario ricevano un trattamento simile, indipendentemente dalla loro posizione nell’Ue. Ciò comporterà il rafforzamento dell’uso degli strumenti di convergenza, nonché una riallocazione delle competenze di supervisione tra i livelli nazionali e quelli dell’Ue.

C’è poi il filone del completamento dell’unione bancaria, per il quale non si va oltre gli auspici, visti i veti nazionali, ad esempio tedesco, a introdurre una garanzia per banche che sono cariche di debito pubblico nazionale. Vecchio tema, mai risolto. Ma andiamo oltre, cercando di capire come potrebbero declinarsi operativamente le linee guida.

Decentramento fiscale, centralizzazione regolatoria

Occorre incentivare i cittadini europei a investire in strumenti rappresentativi di capitale azionario e/o di debito di aziende europee. Quindi servono incentivi fiscali. Problema: il fisco è materia nazionale, non comunitaria. Quindi non si va oltre le “raccomandazioni” perché un regime di agevolazione fiscale, magari sulla falsariga dei nostri Piani di risparmio individuali, costa.

C’è poi il problema delle “barriere interne”, cioè la frammentazione normativa e di controllo e supervisione. Ad esempio, serve una sorta di super-regolatore centralizzato per i mercati finanziari Ue. A titolo di esempio, vengono indicati come candidati alla regolazione centrale le grandi infrastrutture di trading, le borse di criptovalute e gli asset manager transfrontalieri. Ma, anche qui, ci si scontra con resistenze nazionali. Ovviamente, l’idea non va giù a paesi come Irlanda e Lussemburgo, che hanno fatto fortuna con i loro settori finanziari. Si torna al via dei problemi.

Quindi, per sintetizzare e reiterare concetti noti: benissimo cercare di canalizzare verso imprese europee, ovviamente in modo non coercitivo, i risparmi “inerti” degli europei; ma se per farlo nell’unico modo noto, cioè fiscalmente, si entra nella capacità dei bilanci nazionali, c’è un problema da risolvere. E poi ci sono gli interessi nazionali, che ogni volta impediscono ulteriori cessioni di sovranità e mantengono la frammentazione. Interessi nazionali tra cui ci sono quelli dei nostri intermediari, che campano anche di remunerative porcherie strutturate come i famigerati certificati. Altro che alfabetizzazione finanziaria.

“Presto, fate qualcosa!” ma anche “Giù le mani dalla nostra borsa!”. O anche “Aiutiamo le PMI purché nostrane!”, come insistono a dire i nostri sovranisti e intermediari locali, nelle cui fila ci sono massimalisti avvolti nel tricolore che vorrebbero imporre ai fondi pensione una quota obbligatoria di investimento nelle nostre PMI. Dubito che una simile proposta possa realizzarsi in questa forma e non, invece, in eventuale obbligo di investimento in PMI di tutta la Ue.

Fermare il deflusso o accelerarlo?

Lo so, sono tutti temi già discussi ma ora si stanno avviando alla fase operativa, come mostra la roadmap presentata dalla Commissione Ue:

Mentre attendiamo di capire come finisce, e visto che siamo in modalità repetita iuvant, sarebbe anche utile evitare di ripetere ossessivamente che “ogni anno 300 miliardi escono dalla Ue, fermiamoli!”. Perché sarebbe utile, chiedete? Perché quei fondi sono in ampia parte l’immagine speculare del surplus commerciale della Ue verso il resto del mondo, soprattutto gli Stati Uniti. Ma, di questo passo, quel surplus si ridurrà molto e con esso il flusso di capitali in uscita. Eppure, in quel momento non ci sarà molto da festeggiare.

Poi però ci sono anche quelli che, mossi dal nobile intento di non far defluire capitali dalla Ue, vorrebbero trattenerli qui a mezzo di un bel prelievo patrimoniale. Che però è il modo migliore per accelerare i deflussi, se il resto del mondo non ci segue. Non è un caso che proposte del genere provengano, da noi, in stereofonia dal M5S e dal Pd di Elly Schlein. L’impotenza declamatoria e posturale della radicalità cartonata.

(immagine creata con WordPress AI)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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