La delusione dei greci ed il treno chiamato Europa

L'unico modo perché le cose vengano fatte è non tener conto di chi si prenderà il merito.
La vigilia del 6 gennaio dell'anno in cui entrò in vigore l'euro mi colse stipata su un treno quasi merci che da Salonicco tentava di raggiungere Atene in mezzo ad una bufera di neve. Quasi tutta la Grecia era rimasta paralizzata sotto una spessa coltre bianca ed i tessalonicesi davano per scontato, senza scomporsi, che l'aeroporto avrebbe ripreso a funzionare solo al disgelo, in primavera.
Per tentare di raggiungere la civiltà non rimaneva che prendere d'assalto l'unico treno in incerta partenza verso sud. Dodici ore di viaggio in condizioni ai limiti della capacità di tolleranza umana, tra sovraffollamento, scomodità di ogni genere, sporcizia, ritardi a catena.
Immersa nel caos generale di un'emergenza relativamente banale, che aveva travolto lo Stato fin dalle prime avvisaglie e di cui toccavo con mano la totale inadeguatezza di ogni mezzo per affrontarla, mentre percorrevo a fatica il territorio da nord a sud mi chiedevo tra irritazione e stupore come avesse potuto la Grecia entrare in Europa, essere stata ammessa al club dell'euro.
(Monica Bedana)
Questo articolo è stato pubblicato quiCommenti all'articolo
Lasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox