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 Home page > Attualità > Europa > La delusione dei greci ed il treno chiamato Europa

La delusione dei greci ed il treno chiamato Europa

L'unico modo perché le cose vengano fatte è non tener conto di chi si prenderà il merito.

(Legge di Jowett; è il pensiero del giorno della mia agenda, quella di Murphy)

La vigilia del 6 gennaio dell'anno in cui entrò in vigore l'euro mi colse stipata su un treno quasi merci che da Salonicco tentava di raggiungere Atene in mezzo ad una bufera di neve. Quasi tutta la Grecia era rimasta paralizzata sotto una spessa coltre bianca ed i tessalonicesi davano per scontato, senza scomporsi, che l'aeroporto avrebbe ripreso a funzionare solo al disgelo, in primavera.

Per tentare di raggiungere la civiltà non rimaneva che prendere d'assalto l'unico treno in incerta partenza verso sud. Dodici ore di viaggio in condizioni ai limiti della capacità di tolleranza umana, tra sovraffollamento, scomodità di ogni genere, sporcizia, ritardi a catena.

Immersa nel caos generale di un'emergenza relativamente banale, che aveva travolto lo Stato fin dalle prime avvisaglie e di cui toccavo con mano la totale inadeguatezza di ogni mezzo per affrontarla, mentre percorrevo a fatica il territorio da nord a sud mi chiedevo tra irritazione e stupore come avesse potuto la Grecia entrare in Europa, essere stata ammessa al club dell'euro.

Ero di un Paese che della storia dell'Europa unita aveva scritto i fondamenti; vivevo in un Paese che dell'Europa si stava nutrendo oculatamente e mostrava al mondo i buoni risultati di gestione dei fondi. Erano di sicuro i greci, amministratori incapaci, ad ostinarsi a fare le cose malamente.

Chi avrebbe detto che dieci anni dopo gli stessi greci sarebbero stati i primi a rimpiangere amaramente di essere diventati europei.
Che io avrei smesso di credere all'idea di Europa come spazio pubblico condiviso in eguaglianza di condizioni da tutti i cittadini, una cittadinanza aggiunta che non rimpicciolisce la cittadinanza nazionale ma le aggiunge valore, come mi raccontava Felipe González.

 
Che, per questa credulità, ho/abbiamo permesso che dalla sala macchine della costruzione europea fossero esclusi fin dall'inizio i sindacati. Che ciò ha fatto sí che oggi quegli stessi sindacati abbiano perduto poco a poco ogni loro prerogativa e non dispongano nemmeno di un alito di voce per difendere i lavoratori da questo estremo attacco del capitale ai loro diritti. 
 
E' conseguenza diretta di quell'esclusione se oggi il sindacato in Italia viene con facilità diviso, gli viene negato un tavolo per negoziare, accede solo a sterili "incontri bilaterali". In Spagna, per identico motivo, baratta invece con disinvoltura l'impiego a tempo pieno per quello a tempo parziale ed accetta con entusiasmo ogni elemosina concessagli dagli industriali.
 
Chi infine avrebbe detto, dieci anni dopo l'incubo di quel treno greco, che avrei scoperto che sui treni degli italiani - i padri fondatori dell'Europa - , diretti verso il sud si viaggia ogni giorno peggio che su un treno merci e quasi nessuno grida all'emergenza.
 
Carbone, per il 6 gennaio, a me stessa e a chi, come me, troppo a lungo ha creduto, delegato senza vegliare e continuato a credersi di sinistra.

 (Monica Bedana)

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.48) 7 gennaio 2012 13:24

    E la colpa dei sindacati? l’unico sindacalista serio che c’è in Italia è Landini, il resto insulsi, venduti o peggio lestofanti, che dovrebbero andare a zappare o in molti casi in galera.

    • Di (---.---.---.22) 7 gennaio 2012 16:49

      Su Landini mi trovi senz’altro d’accordo. 

      In quanto agli altri sindacalisti, la situazione che abbiamo oggi sotto gli occhi in Italia è il risultato di un attacco strenuo e continuo al sindacato da parte della politica, dell’economia (che vanno a braccetto) e anche della stampa (che in larghissima parte fa da volano a politica ed economia) che è stato sistematico dalla fine degli anni ’70. Per questo dico nell’articolo che avendo lasciato fuori il sindacato dalla costruzione dell’Europa lo si è completamente indebolito; le fabbriche sono delocalizzate, da nessuna parte si produce più nulla in un solo luogo...quindi ci sarebbe stato bisogno di strategie sindacali con visione europea, che tenesse conto di questo fattore, per difendere efficacemente i lavoratori. Che poi in ogni Paese (e in Italia in particolare) politica ed impresa si siano uniti con la complicità della stampa per diffondere in modo martellante l’idea che il sindacato fosse una cosa vecchia, superata, un ostacolo a quella globalizzazione che doveva renderci tutti più ricchi e felici, beh, questo ha assestato il colpo di grazia al sindacato. Se le leggi del mercato del lavoro le decidono governi quasi in simbiosi con finanza ed industria, c’è poca via di scampo. 
      Con questo non voglio difendere quella fetta di sindacato che ha scelto la via più comoda per mantenersi a galla, quindi come dici si è venduta o è scaduta in particolarismi insuperabili.

      Monica Bedana

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