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La bellezza della solitudine

La solitudine non è la chiusura nei confronti del mondo bensì una necessità indispensabile per conquistare maggiore conoscenza di se stessi, fortificando psiche e fisico eppure da qualità è mutata in accezzione negativa, una paura da scongiurare, un isolamento che nell'era della comunicazione e dell'interratività sembra essere diventata un lusso da non potersi più permettere.

La vita sociale è un vortice di rumori, condizionamenti, trasmissioni di suggestioni e di informazioni. La solitudine è l’inviolabilità della sfera privata, la preservazione dell’integrità, la salvezza dell’anima, un valore della comunità. L’uomo non è, quindi, solo un animale sociale, è anche un sé unico, separato, distanziato, diverso dagli altri, che necessita di solitudine. La società contemporanea, però, ha rotto questo equilibrio.

Le tecnologie della comunicazione, prima il telefono poi la televisione ora la connettività, sono al centro della vita quotidiana. I nuclei familiari sono meno numerosi, le madri lavorano fuoricasa, i crimini nei piccoli e grandi centri aumentano, la diffidenza cresce e il panico morale campeggia indisturbato. In questo contesto, “internet” ha permesso alle persone isolate di comunicare e a quelle emarginate di incontrarsi, apparentemente senza rischi. Bambini, giovani, adulti, anziani, si trovano, così, tutti davanti ad uno schermo a “cliccare”, “chattare”, “postare”, “logare”, “twittare”, ”linkare” con conoscenti e perfetti sconosciuti in un continuo flusso di contatti virtuali che viene a sostituire l’ormai antiquato contatto reale.

Farsi notare, conoscere, rendersi visibile, essere perennemente “collegati” al resto del mondo garantisce una falsa sicurezza e l’illusoria idea di celebrità ritenute indispensabili per l’uscita dal triste anonimato e dalla temuta solitudine. Oggi è, infatti, vietato sentirsi e stare soli.

La continua e massiccia presenza immaginaria degli altri, la convinzione di essere una faccia riconosciuta, la sensazione di autostima che ne deriva e la dipendenza dal mezzo mediatico non fanno altro che accentuare frustrazione e complessi, ma la paura di essere tagliati fuori da un qualsiasi gruppo sociale, di essere messi in ombra, di essere considerati asociali, è più forte della individuale incolumità fatta di riflessione e prudenza.

Non è importante essere sinceri, autentici, reali, l’unica cosa che conta davvero è essere in qualche modo visibili. Visibilità equivale a esistere. E così si vive esclusivamente e costantemente in rapporto agli altri, all’unisono, in cerca del consenso, di un senso di una qualche appartenenza. L'intimità, la concentrazione, la capacità di stare e pensare da soli divengono ricchezze sacrificabili.

Evitare la solitudine non è un bel segnale poiché significa non saperla più gestire. Dall’asilo all’Università gli studenti vengono, da parenti e insegnanti, amici e colleghi, incessantemente protetti da questo cancro da debellare per folle timore di inconsulti gesti autodistruttivi, di pensieri non conformi alla massa, di caratteri e comportamenti lontani dall’orientamento culturale dominante.

Ognuno avrebbe il diritto di stare in disparte, ma a costo di diventare impopolare dal momento che della socialità si è fatto un elemento fondamentale di vita. La socializzazione universale, costruita su inviti forzati, su sorrisi di convenienza, su interessamento cortese, su fasullo piacere e su ingannevole divertimento, regna sovrana. Chi è mosso dal desiderio di rimanere da solo è criticato, giudicato malevolmente, incompreso, escluso.

La solitudine viene erroneamente considerata come una strana forma di isolamento, di disprezzo per gli altri, di snobismo, di debolezza. Questo “vizio” può essere concesso solo a santi e a poeti, a eremiti e a visionari, ma ritenuto inconcepibile per gli esseri umani giudicati “normali”.

Alla solitudine è comunemente associata anche la noia. Ecco, quindi, che viene in automatico l’accensione della televisione, del computer, della radio, del cellulare, del tablet, e che corrono prontamente in soccorso gli allarmati “amici” che si sentono in dovere di intrattenere lo sfortunato solitario di turno. La compagnia, seppure di convenienza, imposta, a volte sgradita, virtuale, diviene essenziale per sopportare meglio sé stessi ed essere accettati dagli altri. L’Io si deforma nello specchio della considerazione che gli altri hanno, poco importa se superficiale, apparente, ipocrita.

Si abusa esageratamente della tecnologia e si ricorre meccanicamente agli altri per scappare dal terrore dell’isolamento e della noia senza accorgersi che, invece, l’amplifica. Ci si aggrappa alla tastiera come ad un salvagente in un mare in tempesta senza capire che la vera salvezza non è esterna ma interiore. Si è perso il concetto, il piacere, il bisogno dello stare da soli. Assieme alla perdita di tale coscienza si sono smarriti, di conseguenza, l’introspezione, il sentimento profondo, il pudore, il rispetto, la dignità, la personale visione del mondo, la prospettiva individuale, la propria natura. La vita spirituale non esiste, la vita privata non esiste, la vita individuale non esiste. La naturale e benefica pratica di ozio, di lettura, di pensiero, di discernimento, di opinione, di critica, di attenzione, di curiosità, di entusiasmo, ha lasciato spazio all’inconcludente e insoddisfacente frenesia della forzata partecipazione sociale.

Qualsiasi momento della vita, dal più importante al più insignificante, deve essere obbligatoriamente, prima che vissuto, immortalato da una fotocamera, da una videocamera, da una webcamera e al più presto condiviso in rete per testimoniare la propria esistenza vuota e disagiata e, preferibilmente, commentato da gente, in maggioranza, che non gliene importa niente. Tutto ciò è molto triste.

La mente solitaria si distingue dalla massa, perciò è ritenuta pericolosa perché non manipolabile. La voce del solitario trova ascolto nel silenzio, perciò preferisce stare in disparte fuori dal frastuono sterile. La solitudine induce alla fantasia, alla misura, al buon senso, favorisce la libertà di scelta, di volontà, di decisione, tutela riservatezza, pudore, intelligenza.

Le persone capaci di stare sole si rivelano più equilibrate, pronte ad amare, a condividere, a dialogare senza malsani sentimenti di egoismo, di possesso, di dipendenza, di assuefazione. La compagnia degli altri è per loro una libertà assoluta quanto il poter decidere di farne a meno. La forza, l’autonomia, il coraggio sono dati loro dal beneficio e dal benessere che procura la solitudine.

Lo stare per conto proprio le mette in rapporto con l’essenza più intima di loro stesse, al contrario di quelle persone che alla sola idea di rimanere sole vengono assalite da inquietudini, malesseri, fobie. Prigioniere della mancanza di fiducia, di stima e di amore, le persone malate di socialità vagano alla sempiterna disperata ricerca di nuovi amici, amori, guide, investendoli delle loro troppe fragilità e non in grado di liberarle dall’angoscia continua che le affligge. Ricercare la compagnia degli altri è rifuggire la propria eppure la liberazione dalle gabbie mentali imposte inizia con l'accettazione, la consapevolezza e l’approvazione di sé. Basti pensare a quali nefandezze si sia più facilmente portati a compiere in gruppo per capire che l’individuo preso nella sua unicità è spesso migliore di quanto si ostini a negarlo. L’artefatto bisogno dell’altro è un’invenzione che non placa i sentimenti negativi che alimentano la paura dello stare in compagnia di sé stessi. L’altro è trasformato in illusoria ancora di salvezza, in tana sicura, in uscita di emergenza messe a disposizione, a comodo, a comando, a piacimento.

Il solo modo per progredire, crescere, maturare, migliorarsi è il saper coltivare la necessità insita in ogni essere umano di rimanere in solitudine. Solo sapendo stare bene con sé stessi si riesce a godere della sana compagnia altrui e a condividerne i piaceri. La verità è che nessuna vera eccellenza sociale, che sia artistica, politica, filosofica, scientifica o semplicemente morale, può nascere senza solitudine.

Non a caso "Dio è solo; ma il Diavolo no: ha un sacco di compagnia" (H. D. Thoreau).

  

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