La banalità del senso
Ci sono attimi della nostra vita, nei quali avvertiamo, pur se in modo vago, che il senso del nostro vivere è associato a luoghi, oggetti, odori, sguardi, sapori, considerati di norma insignificanti, perché troppo “ordinari” o addirittura “banali”.
E, tuttavia, essi favoriscono l’emergere di significatività che, come lampi o visioni improvvise, investono i diversi ambiti e momenti della nostra esistenza.
E dobbiamo riconoscere che proprio in quei momenti capiamo che la nostra vita non sarebbe la “nostra” vita, senza quei luoghi, quei posti, quegli oggetti, quei frammenti, che – tra l’altro – non ci chiedono mai niente, in cambio delle esperienze che ci offrono.
In realtà, pure se appaiono del tutto non essenziali e non necessari, sono proprio quelle “cose“, quei luoghi, quegli attimi che ci fanno sperimentare che, alla fine, la Vita ci dona tutto quello che può darci.
È, forse, questa stessa esperienza che l’immenso Eraclito condivideva, quando, riferendosi a un banale luogo domestico, dove sostava, ebbe a dire ai suoi visitatori: ειναι γαρ και ενταυθα θεους, anche qui occorre riconoscere il divino!
Di qualcosa di analogo parlava anche George Steiner quando individuava nei caffè europei, luoghi dove si sta insieme, per ore, magari senza dire niente, una parte importante dello Spirito europeo (G.Steiner, Una certa idea dell’Europa).
Associare il senso, (che in fondo è ciò che ci fa da parafulminenell’esistenza), a luoghi, oggetti, o monenti, o cose, ordinarie e banali della vita quotidiana, senza nessuna pretesa metafisica, è un’operazione che potrebbe sembrare fuori posto.
Ma, come notava lo stesso Steiner, “i parafulmini devono essere saldamente infissi nel terreno. Anche le idee più astratte e speculative devono essere ancorate nella realtà, nella materia delle cose”, nella carne quotidiana della gente.
In effetti, a quelle “cose”, luoghi, momenti, oggetti noi dovremmo gratitudine, perché ci donano orizzonti, sfondi, prospettive, sentimenti e sguardi inattesi. Danno movimento, ritmo ed emozioni al nostro spazio. Ci rendono più agevole imparare a condividere “l’ambiguo peso del tempo”e della memoria. Talora riempiono la nostra solitudine.
E magari ci fanno sperimentare un oltre o un altrove desiderato.
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