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La Spending review che mette in bilico il futuro

Se con la parola spending review s'intende privatizzare tutto il privatizzabile, mettere in secondo piano gli atenei pubblici e, non riuscire a garantire dei posti letto in ospedale, vuol dire che abbiamo qualche piccolo problema di comprensione delle nostre necessità.

Al termine di una riunione abbastanza lunga, e non senza tantissime polemiche da parte delle istituzioni stesse, è stato varato il decreto che prevede tagli nell’ordine di diversi miliardi di euro al settore pubblico, tra sanità, università, province (?) e pubblico impiego.

Da quando Giarda parlò di centinaia di miliardi di euro è passato oltre un mese, e pare che una piccola spending review sia in dirittura d’arrivo. Nel testo definitivo è compresa qualche soppressione in meno ma diverse decisioni però, saranno assunte solo in un secondo momento: ancora da definire, quali province abolire e quale salvare (al momento criteri di estensione e popolazione risultato troppo generici), e quale strutture sanitarie accorpare. Altra decisione discutibile, è il rinvio dell’aumento dell’Iva a luglio 2013, quando cioè il governo tecnico dovrebbe (condizionale sempre d’obbligo) essere sostituito da uno politico che sarà “costretto” a condividere questa scelta impopolare.

L’altro giorno sono entrato nel merito di questa manovra, mentre oggi voglio limitarmi a qualche considerazione di “contorno”. Anzitutto, ci tengo a ribadire come la situazione per coloro che sono in cerca di un lavoro diventi sempre più critica, giorno dopo giorno. A partire dal 2016 il blocco delle assunzioni sarà totale, e per quanto ci possano essere delle persone contente di ciò (la corrente di pensiero secondo cui “chi lavora nel pubblico è un fannullone pagato a spese della collettività“), tale scelta rappresenta un “fertilizzante” della disoccupazione.

Altra considerazione, non meno importante, scaturita in seguito ad un commento sull’articolo scorso, a firma di Laura Liguori, è che con questo “blocco totale” si dovranno eliminare quei corsi di laurea tipo Scienze dell’Amministrazione, Scienze Politiche (indovinate in cosa sono laureato io?) per evitare di creare “amministratori” inutili. Ma, probabilmente, a questo avevano già pensato i nostri tecnici: sarà un gioco da ragazzi coinciliare quest’esigenza con il taglio di centinaia di milioni nelle università pubbliche!

Certo è che tagliare i costi della burocrazia, come spesso ripetuto anche in questa sede, è di fondamentale importanza. Ma se per burocrazia s’intende stroncare qualsiasi possibilità per i disoccupati di accedere tramite concorsi pubblici nella Pubblica Amministrazione, o il futuro dei nostri figli e nipoti (taglio all’università) anteponendo sempre e comunque gli interessi di chi può “comprarsi il futuro” (coloro che hanno la possibilità per accedere agli atenei privati) vuol dire che abbiamo qualche piccolo problema di comprensione dei nostri bisogni…

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