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La Somalia è ancora a terra

Le dimissioni di Mohammed Abdullahi Mohammed Faramajo, primo ministro del governo assai provvisorio della Somalia, offrono l'occasione di fare il punto sulla situazione del paese. Le sue dimissioni seguono l'ennesimo accordo tra le due principali fazioni somale che supportano il governo di Mogadiscio, a sua volta sostenuto dalla comunità internazionale, che nel paese assume le sembianze di circa ottomila soldati forniti da Burundi e Uganda. L'Uganda di Museveni sembra avere il pallino dell'iniziativa in questi ultimi tempi, nei quali Washington si segnala per il disimpegno, ma i risultati non sono migliori di quelli di chi ci ha provato prima. L'ultima volta che la Somalia ha goduto di una parvenza di ripresa è stata durante il governo dell'Unione delle Corti Islamiche, che era riuscita ad aver ragione dell'anarchia somala a colpi di fucile e di trattative e unire il paese sotto un governo capace di governare.

Un sollievo momentaneo, pochi mesi nei quali si vide riaprire l'aeroporto di Mogadiscio e non si incontravano più bande di armati in giro per le strade o i pirati navigare minacciosi. Il governo delle Corti però non godeva dell'appoggio della comunità internazionale, che sosteneva il Governo Federale di Transizione, un governo formato nel corso di estenuanti trattative sotto l'egida delle potenze coinvolte, che però non aveva mai preso veramente il potere durante gli anni della sua esistenza formale. C'era allora la Guerra al Terrore e l'amministrazione Bush tollerava solo i governi "islamici" delle monarchie del Golfo, per gli altri solo bombe. Memore del fiasco americano di Restore Hope tenuto a battesimo da suo padre, Bush junior ha però preferito limitare l'intervento americano a qualche bombardamento dall'alto, lasciando ai vassalli africani l'impegno sul terreno.

Alla cacciata del GFT da Baidoa, la cittadina vicina al confine dell'Etiopia, dove aveva posto la sua sede non riuscendo nemmeno a raggiungere Mogadiscio, l'Etiopia del dittatore Meles Zenawi invase la Somalia su input statunitense, prima negato e poi esplicitamente ammesso dallo stesso governo americano. La scusa ufficiale fu che l'Etiopia si sentiva minacciata e con gli invasori alle porte, anche se le forze somale non esistevano e comunque non avrebbero certo potuto rivaleggiare con la potenza etiope. L'intervento etiope è servito soltanto ad aumentare la mortalità in Somalia, il paese si è lentamente coalizzato contro l'invasore straniero che per di più è anche il nemico storico della Somalia e dalla lotta patriottica sono emersi gli Shabab, reincarnazione locale dei talebani, e presto la Somalia è diventata meta dei safari degli estremisti sauditi, preferita anche all'Iraq, dove la popolazione locale aveva cominciato a dare segni d'insofferenza.

Zenawi ha retto due anni, il 2007 e il 2008, poi ha ritirato e sue forze a difendere la sua dittatura e a massacrare i ribelli in patria, in particolare in Ogaden, una regione somala ceduta dai britannici all'Etiopia dove Zenawi può sfogare come i peggiori tiranni la sua frustrazione, facendo strage di somali sotto la sua sovranità senza che nessuno si lamenti troppo. Anni persi in un inutile bagno di sangue, con i somali dediti alla guerriglia di logoramento e gli etiopi che hanno usato la mano pesante, un ciclo terminato con la ritirata etiope (che è la superpotenza militare della regione ed era supportata dagli americani) e con la costituzione dell'ennesimo governo di coalizione tra vecchie volpi del GFT e gli esponenti più moderati delle Corti, tanto che presidente della Somalia è oggi Sheik Sharif Sheik Ahmed, già capo delle Corti Islamiche, quelle che non andavano bene. Inutile, il nuovo governo con l'assistenza delle truppe della "forza di pace" panafricana ha perso il controllo di tutto il Sud del paese e controlla appena metà di Mogadiscio, mentre a Nord languono la regione autonoma del Puntland e il Somaliland, che avrebbe dichiarato la secessione, ma non lo ha riconosciuto nessuno. A contrastare il governo c'è il gruppo degli Shabab qaedisti, che ha guadagnato terreno e potere proprio durante la resistenza all'invasore etiope. Gli Shabab sono militarmente efficaci e le truppe panafricane sono poche e occupate nel presidio di quel che possono, ma non sono in grado di sloggiare una forza militare di qualche migliaio di uomini modernamente equipaggiata come quella della forza di pace africana, sostenuta peraltro dal controllo aereo e navale americano e dai miliziani fedeli al governo. Gli sforzi per formare un esercito in grado di cacciare gli Shabab si sono infranti contro l'evidente carenza di arruolabili e le sempiterne divisioni tra clan e fazioni.

Mohammed Abdullahi Mohammed Faramajo è considerato un ottimo primo ministro nella media somala, nei pochi mesi nei quali è stato al governo dopo esserci arrivato qasi per caso, ha dato buona prova dicono. Basta pensare che usava i fondi dei donatori per pagare la polizia, invece di farli sparire e di permettere agli ufficiali di procurarsi il soldo dei subordinati direttamente dai cittadini che incrociano per strada. Bravo, ma anche lui restio a lasciare il potere nonostante la scadenza del suo mandato, tanto da costringere il presidente ugandese a fare una visita a sorpresa nella pericolosissima Mogadiscio per costringerlo alle dimissioni. Le istituzioni somale sono poco più che pie intenzione nascoste dietro titoli ufficiali, ma non mancano di segnalarsi per originalità, come nel caso di quel tribunale somalo che ha condannato per contrabbando di valuta tre britannici e un americano, dipendenti di un'agenzia ufficialmente con sede a Nairobi che si occupa di "sicurezza", atterrati a Mogadiscio con la valigia piena di milioni di dollari per pagare il riscatto di due navi in mano ai pirati (la Suez e la Yuan Xiang), che nel caos prosperano come sempre. Nulla di grave, le pene potranno essere ridotte in appello dai quindici anni a testa a niente, se i condannati sceglieranno di pagare dollari invece di scontare la pena, lo ha detto a chiare lettere il giudice Hashi Helmi alla stampa. Non basta.

All'ennesimo stallo sul terreno e all'ennesimo governo impotente, si accompagna di questi tempi l'ennesima crisi umanitaria, tanto che migliaia di somali affluiscono a Mogadiscio nonostante vi imperversino combattimenti quotidiani. Nelle aree controllate dagli Shabab non sono ammesse le organizzazioni umanitarie, che secondo l'ONU stanno consegnando nel paese solo il 30% del necessario, siccità e carestia imperversano e l'approccio talbano all'Islam è sopportato male dai somali, tradizionalmente più moderni e rilassati. Così dopo aver assistito alla grande fuga da Mogadiscio si assiste ora a un grande afflusso di somali che sfuggono la morte per fame in senso contrario. Al Sud non va tanto meglio, tanto che "il campo pofughi più grande del mondo", che si trova in Kenya e non in Darfur, scoppia. Il campo di Dadaab è pieno di somali, destinato venti anni fa a ospitare 90.000 profughi, ora ne contine 350.000, accampati nel nulla di un territorio arido e desertico e assistiti dall'ONU in tre enormi campi contigui. Ai quali si aggiunge una collana di altri campi non assistiti che corre verso il confine somalo, alcuni a loro volta con decine di migliaia di ospiti, che mediamente riescono ad avere accesso agli aiuti ogni due settimane e sono alloggiati in piccole cupole auto-costruite con ramaglia e qualche telo direttamente sul terreno. Non che a quelli che sono scappati a Nord attraverso il Mar Rosso vada molto meglio, chi si è rifugiato in Yemen è finito in mezzo a una guerra civile e quel tratto di mare ha reclamato un pedaggio simile a quello del Canale di Sicilia, migliaia di vite. Ma questi non scappano da un dittatore nemico dell'Occidente come quelli in Darfur, così sono caduti nell'oblio come tutti gli altri rifugiati del mondo, che come quelli somali quest'anno hanno raggiunto il record di sempre.

Un record preoccupante quanto poco dibattuto e non solo nel nostro ridicolo paese, dove il problema si pone solo quando sbarcano gli africani a Lampedusa e si pone perché parte del governo vorrebbe che fossero ributtati in mare. I rifugiati non interessano proprio a nessuno e non spariscono solo quando sono politicamente scomodi come i quattro milioni di iracheni che sono dovuti scappare di casa dopo l'invasione americana. Quando va bene si tampona l'emergenza umanitaria, poi i profughi restano per lo più dove sono, ci sono campi che esistono ormai da decine d'anni, senza che ai loro abitanti sia possibile tornare alle proprie case o rifarsi una vita altrove. E i donatori donano sempre di meno, poi ci sono quelli come l'Italia di Berlusconi, che s'impegnano a donare e poi non scuciono i soldi quando è il momento e azzerano gli aiuti umanitari per "investire" in "missioni di pace". È dal 1991 che la Somalia non ha un governo, venti anni durante i quali l'attenzione delle potenze occidentali, africane e regionali per gli affari somali si è tradotta in un continuo bagno di sangue e nella totale distruzione e frammentazione del paese. Un'impressionante catena di fallimenti per la quale non sono certo responsabili solo gli scalcagnati talebani somali o i signori della guerra che l'Occidente ha foraggiato per anni. Ogni tanto bisogna ricordarlo e bisogna ricordare che la crisi somala è indubbiamente la peggiore crisi umanitaria al mondo da quasi vent'anni, anche se non interessa a nessuno.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.132) 22 giugno 2011 21:41

    L’Accordo di Kampala (KA), redatto sotto la direzione del presidente Yoweri Museveni dell’Uganda e del Dr. Agostino Mahiga, il rappresentante speciale del Segretario generale (SRSG) ricorda i trattati coloniali firmato dal leader somalo tradizionali per guadagni personali o rivalità. Presidente Sheikh Sharif e Speaker Sharif Hassan ha firmato il KA il 9 giugno 2011 a Kampala, in Uganda. Le loro ambizioni politiche sono stati affrontati, a spese della sovranità della Somalia e gli interessi. Tutte le persone di coscienza che hanno consentito KA viola la sovranità della Somalia e le prospettive di guarigione interna per la pace e la stabilità.

    La mia opinione è che il Presidente e il Presidente non possedeva la, la capacità dell’autorità e la preparazione richiesta per entrare in un tale accordo che viola la Carta federale di transizione (TFC) e altera in modo sostanziale il rapporto tra governati e governanti della Somalia. I due leader è andato a Kampala come due litiganti sulla loro legittimità, e non come due leader legittimi promuovere questioni di interessi nazionali. Erano negligente della loro responsabilità di difendere gli interessi nazionali. Le loro azioni sono stati influenzati da conflitto di interessi o di quid pro quo, che rende le disposizioni del vuoto KA. Realizzazione di KA è una violazione dell’indipendenza della Somalia e della cittadinanza.

    Pertanto, oltre a portare il KA al Parlamento di annullamento, i cittadini coscienziosi della Somalia e altri hanno la solenne responsabilità di KA soggetti a costituzionale e politico delegittimazione in ogni forum possibile per prevenire le conseguenze deleterie. Presidente Sheikh Sharif Hassan e Speaker sono soci di spoiler pace e di vergogna nazionale. In un articolo pubblicato sul New York Times del 13 giugno, il presidente Sharif è stato descritto come "un leader inefficace", mentre il presidente Sharif Hassan Aden Sh è stato presentato come "un commerciante di bestiame analfabeta ma astuto."

    Come la fine del mandato collettivo di IFT il 20 Agosto 2011 si stava avvicinando, il presidente del Parlamento che divenne sfidante del presidente Sheikh Sharif ha approvato una risoluzione, che si estendeva lungo termine del parlamento per altri tre anni e ha incaricato l’elezione del nuovo presidente e relatore Il Presidente e il Primo Ministro ha proposto in alternativa proroga di un anno per tutte le istituzioni federali transitorie (IFT) e rinvio delle elezioni i leader ’. Il Presidente ha ignorato la proposta alternativa.http://somalitalkradio.com/2011/jun/kampala_accord.pdf



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