La Grande Sostituzione: dall’oro al bitcoin
Gli Stati Uniti costituiranno una riserva strategica di bitcoin? Attendendo Trump, c'è già una proposta di legge per sostituire il supremo bene rifugio. Porterà al momento agognato da russi e cinesi, il crollo del dollaro?
Donald Trump ha espresso l’intenzione di costituire una riserva di bitcoin. Per fare cosa e finanziata in che modo? Al momento, il presidente rientrante ha soltanto ipotizzato di non vendere i bitcoin acquisiti dal governo federale a seguito di confische, pari ad oggi a circa 200.000 unità, per un valore corrente di circa 20 miliardi di dollari. Ma c’è chi vuole andare oltre, molto oltre.
Lo Zio Sam compra Bitcoin?
La senatrice Cynthia Lummis ha presentato un disegno di legge che imporrebbe al governo federale di comprare un altro milione di bitcoin nel corso di cinque anni e detenere lo stock per almeno altri venti. Il disegno di legge, di cui Lummis è unica firmataria, si chiama BITCOIN Act 2024, dove il nome della criptovaluta diventa l’acronimo di “Boosting Innovation, Technology, and Competitiveness through Optimized Investment Nationwide“. Sempre molto immaginifici, i rappresentanti del popolo.
Ma comprare bitcoin per farci cosa? Esiste la riserva strategica di petrolio, e di quella la funzione è chiara. Ma a cosa servirebbe comprare bitcoin con i soldi dei contribuenti? Si direbbe ad arricchire enormemente i possessori dei bitcoin esistenti. Ricordiamo la caratteristica del Bitcoin che manda in visibilio i suoi seguaci: ne esiste un numero finito, pari al massimo a 21 milioni di pezzi.
Un enorme valore di scarsità!, si entusiasmano gli anti-deflazionisti. Ovviamente, qui occorre che io ribadisca il punto centrale: il valore è negli occhi di chi compra. E, in seconda battuta, che tuttavia sta rapidamente diventando la prima, nella teoria del Greater Fool, cioè nella possibilità di trovare qualcuno più sciocco di te a cui vendere il tuo prezioso asset.
Unite i puntini: numero finito di bitcoin, legioni di fedeli che si tengono stretti i propri. Uguale rialzo esplosivo in caso di entrata di ulteriori compratori, siano essi acquirenti di ETF su bitcoin o lo Zio Sam. A quest’ultimo andrebbe il ruolo di Greater Fool di ultima istanza. Lo stato si indebiterebbe per comprare i bitcoin oppure (sublime ironia) la Fed stamperebbe l’odiata moneta fiat. Creando quell’inflazione che permetterebbe ai cripto-fedeli di trovare conferma alla propria tesi di investimento. E anche destabilizzando il dollaro, sia detto en passant.
Il governo federale si troverebbe con un enorme stock di bitcoin, che non producono flussi di reddito. I sostenitori della creazione di questa riserva ribattono che in realtà il governo potrebbe vendere parte del crypto-tesoro e abbattere il debito, in una specie di moto perpetuo che tuttavia sarebbe la sconfessione del precetto cardine: HODL! Cioè tenete i vostri bitcoin e non vendeteli per nessun motivo. E se, al momento di questa vendita, i Fools fossero spariti e le quotazioni si disintegrassero? In quel caso, anziché una riserva di valore, avremmo una riserva di enormi guai. Il punto è se qualcuno ha fatto credere a Trump che sia davvero possibile realizzare una sequenza del genere e abbattere il debito, e se Trump ci abbia creduto.
Ma c’è dell’altro: se il governo federale compra bitcoin e se i regolatori federali sono tutti crypto-entusiasti, ecco che le banche chiederebbero di poter concedere prestiti ottenendo in garanzia i bitcoin. Un po’ come fanno i vari Musk e Zuckerberg: chiedono prestiti dando in pegno le azioni delle loro società. In questo modo si otterrebbe volgare moneta fiat senza smobilizzare il proprio patrimonio in bitcoin, cioè rispettando il principio Hodl del “mai vendere, solo comprare e tenere”. E far sparire il flottante contribuirebbe al valore di rarità. Ma che accadrebbe se il valore della garanzia in bitcoin precipitasse?
Vendere oro
C’è anche una variazione sul tema riguardo le risorse con cui il governo federale comprerebbe i bitcoin, suggerita dalla stessa Lummis nel suo disegno di legge: vendere parte dell’oro della Federal Reserve. Quest’ultima ha a bilancio certificati rappresentativi dell’oro detenuto dal Tesoro degli Stati Uniti al prezzo di 42,2222 dollari l’oncia, fermo al 1973. Basterebbe vendere una parte di quest’oro, ipotizzando di non deprimerne troppo il prezzo, per intascare una enorme plusvalenza, con cui comprare gli agognati bitcoin.
Una vera e propria sostituzione. Non etnica, ma del supremo bene rifugio. Esce l’oro, entra il bitcoin. Perché, come dicono gli evangelisti della criptovaluta, non è vero che l’oro è un bene raro. È vero che sulla Terra ce n’è una quantità finita e che l’estrazione e l’offerta aumentano in modo molto contenuto. Ma (non ridete), questa visione non considera il fatto che in giro per lo spazio ci sono millemila asteroidi impregnati di oro, sui quali prima o poi metteremo le mani, facendone crollare il prezzo sulla Terra. Quindi, meglio premunirsi con un altro bene rifugio, dotato di rarity value assoluto e inattaccabile. Questa tesi non è mia satira: l’ha espressa un crypto evangelizzatore italiano, di recente.
Io non so come finirà. Trattenere i bitcoin confiscati e venderli sfruttando i rialzi può avere senso. Comprarne molti altri con le modalità sopra descritte metterebbe una bomba atomica ad orologeria sotto al dollaro e all’economia americana. Potrebbe avvicinare il momento tanto agognato da Russia e Cina: veder crollare l’odiato biglietto verde.
Per tutto il resto, i crypto evangelisti non scordino che stanno volando sulle ali di Wall Street e che, con l’arrivo alla guida della Sec del crypto-sostenitore Paul Atkins, questo volo salirà ulteriormente di quota. Presterei maggiore attenzione a questo dettaglio, fossi in loro.
Salvador, grande successo ma serve sempre il FMI
Intanto, fuori dagli Stati Uniti, il presidente autocratico di El Salvador, Nayib Bukele, capitola alle richieste del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Interamericana di Sviluppo: per ricevere fondi dalle istituzioni multilaterali, lo stato centroamericano abbandonerà l’obbligo legale per le imprese di accettare il bitcoin come mezzo di pagamento.
Il Salvador si impegna inoltre a ridurre il rapporto deficit-PIL di 3,5 punti percentuali in tre anni. Mentre i progetti per creare Bitcoin City sono rimasti sulla carta, il tesoretto di criptovaluta accumulato sinora da Bukele vale oltre 600 milioni di dollari, con una plusvalenza teorica di quasi il 130 per cento.
Ottimo, applausi. Ma decidendo di non prendere profitto, sia pure parziale, né scegliendo la strategia di MicroStrategy, in caso di necessità resta solo l’odiata moneta fiat del non troppo simpatico FMI.
- Aggiornamento del 14 dicembre – A proposito di ali di Wall Street, ora è ufficiale: in base all’applicazione meccanica (e semplicistica) dei criteri di capitalizzazione, flottante e liquidità, MicroStrategy entrerà nell’indice Nasdaq. Una società che non ha praticamente fatturato ma mette a leva (oggi tre volte e mezzo) il prezzo del bitcoin, avrà nuove forti correnti di acquisto da fondi passivi. Bene, ma non benissimo.
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