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La Fiat, Pomigliano, e la moderna lotta di classe

Sembrava pacifico che l’accordo sarebbe andato in porto. Il rischio di perdere la produzione nel campano era così alto che chiunque si aspettava che gli operai avrebbero accettato qualunque condizione pur di preservare la produttività dello stabilimento. E, quindi, anche i posti di lavoro. Purtroppo, però, non tutto scorre così liscio come sperato. La Fiom, associazione sindacale per il settore metalmeccanico, consociata della CGIL, "alza la cresta" e dice no.

La Fiat, Pomigliano, e la moderna lotta di classe.

I giorni scorsi sono stati, nel torinese come nel napoletano, estate mancata, ma sulla città di Pomigliano l’aria era afosa e irrespirabile, come fossimo stati in pieno agosto.

C’è un asse che unisce la realtà piemontese e quella campana avvicinandole negli umori, e che contemporaneamente insiste nello spaccarle.

Se possibile, ancora di più.

La Fiat nei giorni scorsi ha proposto un piano di ristrutturazione industriale che ha lanciato sul tavolo di discussione coi sindacati dello stabilimento campano. 

Diciamo "lanciato", perché in realtà il contenuto della proposta pare sia più un proiettile che un paracadute.

Al centro del piano, il recupero dello stabilimento di Pomigliano proponendone il rilancio della produzione, dapprima espatriata e delegata ad un omologo polacco, e ora bramante di italianità si vorrebbe far rimpatriare.

Sembrava pacifico che l’accordo sarebbe andato in porto. Il rischio di perdere la produzione nel campano era così alto che chiunque si aspettava che gli operai avrebbero accettato qualunque condizione pur di preservare la produttività dello stabilimento. E, quindi anche i posti di lavoro.

Purtroppo, però, non tutto scorre così liscio come sperato. La Fiom, associazione sindacale per il settore metalmeccanico, consociata della CGIL, “alza la cresta” e dice no. 

Chiaramente, il primo attacco è un ormai pugno contro un muro di gomma: “Comunisti!”, gridano all’unisono gli imprenditori e i nostri politici, perfino quelli della sedicente sinistra. Il tutto a prescindere dalle motivazioni che il sindacato aveva addotto.

Ma la Fiom non si arrende e protesta, dichiara che nell’accordo da sottoscrivere c’è una clausola che autorizza la Fiat ad agire in deroga ai contratti nazionali per i lavoratori. Questo, a loro vedere costituirebbe un precedente senza ritorno. Un compromesso cui non si deve cedere poiché in ballo non c’è solo lo stabilimento di Pomigliano. Qui, in ballo, c’è tutta l’architettura di garanzie di cui i lavoratori di tutta Italia dispongono e che i contratti nazionali prevedono.

Il referendum indetto si immaginava finisse con un plebiscito. Secondo i mass media infatti, dopo la manifestazione indetta davanti ai cancelli dello stabilimento campano per sollecitare la Fiom ad aderire all’accordo, cui hanno preso parte pare migliaia di persone, non c’era alternativa al risultato.

Strano.

Strano perché a ben vedere, cercare, curiosare, pare che i lavoratori scesi in piazza per sostenere l’accordo pare fossero qualche centinaia, non migliaia. Ciascuno era infatti accompagnato da moglie, figli, zii e cugini e amici.

Strano, poi, perché questo tanto atteso esito plebiscitario non è arrivato.

Strano che dopo tutto questo trambusto, ora che la palla è tornata tra le mani della Fiat i riflettori accesi su Pomigliano si siano improvvisamente spenti con una rapidità fulminea.

Questo episodio è fondamentale perché tocca almeno tre punti a mio vedere sostanziali.

A Pomigliano è in atto oggi una di quelle lotte di classe vecchio stile. Di quelle che ci aspettavamo di non vedere mai più e che invece nel 2010 decorano vergognosamente ancora le pagine dei giornali.

La lotta tra l’imprenditore che vorrebbe guadagnare di più e che vede i dipendenti come voci di costo, e questi ultimi che vorrebbero vedersi garantiti i diritti che per generazioni hanno faticosamente ereditato.

Fermo restando che ogni abuso di questi diritti debba essere condannato (vedi astensionismo a due cifre nei giorni delle partite dell’Italia), il punto è che non si può affidare ad una manciata di operai la decisione dei diritti di un’intera categoria.

Il precedente che la Fiat sta cercando di creare, con l’interessato appoggio della Confindustria, sancirebbe la fine dello standard qualitativo dei contratti di lavoro. Le imprese potrebbero personalizzare le condizioni lavorative di ciascun individuo in base alle proprie necessità, subordinando quelle del lavoratore ad ogni esigenza di produzione.

E questo, mi spiace, è scandaloso.

Poi, c’è un discorso fondamentale che riguarda il piano industriale dell’Italia. O, meglio, che riguarda l’assenza più totale di un piano industriale italiano. I paesi asiatici offrono il doppio della produttività ad un sesto dei costi, in media.

Ora, chi di voi, potendo scegliere, produrrebbe in Europa? L’etica non va a braccetto con l’economia. Ci sono diritti che si perdono tra le pagine dei manuali di Cournot o di marketing. Di più a meno, questa è l’unica legge di mercato che funzioni.

Quindi, come coniugare la sfera individuale del lavoratore con quella funzionale di lavoratore? Un dilemma cui ci troviamo di fronte da circa duemila anni, in varie sfumature.

Il terzo ed ultimo punto che io vedo tragicamente protagonista di tutta questa vicenda, è poi il dramma di un territorio, quello del Sud Italia, che diventa oggi terreno di sperimentazione di deroghe dei diritti.

Un accordo del genere non è stato proposto a Torino, nella sede principale della Fiat, ma a Pomigliano, dove l’alternativa al lavoro onesto si chiama Camorra o delinquenza. 

E proprio lì, dove le persone sono quotidianamente poste di fronte alla scelta tra una vita difficile ma di cui poter andare orgogliosi, e ad una vita infame ma spesso purtroppo redditizia, che si chiede loro di dover rinunciare con una semplice firma ad un insieme di diritti che in quanto tali per i campani sono superflui.

In fondo, che sarà mai? Tre turni uno dopo l’altro, cinque ore di sonno per notte, dai, un po’ di sacrificio ma almeno c’è lavoro... Non mi pagheranno la malattia? Che sarà mai, avrò più soldi per comprare le arance e proteggere il mio sistema immunitario... Ci privano del diritto di sciopero? E vabbè, troveremo il modo di protestare anche senza.

E il Governo dov’è? L’istituzione che dovrebbe difendere i propri cittadini, anche in quanto lavoratori, perché tace?

Al silenzio della politica, si arriva dritti al silenzio della Stampa. Due concetti spesso avvicinati per l’armonia decisionale.

Dalle pagine dei giornali, infatti, tutto questo è scomparso negli ultimi giorni. 

Purtroppo per loro, non dalla coscienza delle persone che sanno quanto difficile sia vivere in una terra dilaniata dal marciume che sta a poco a poco corrodendo l’Italia intera.

Sono al fianco dei lavoratori di Pomigliano, quelli onesti e preoccupati per questo accordo, perché so che quello che si sta chiedendo loro è un sacrificio di dignità.

Sono anche vicina alla Fiom per la battaglia che sta portando avanti per l’intera categoria di lavoratori italiani. Anche, insomma, per quelli che -oppressi e accecati dalla necessità- non si rendono conto di quanto ci sia in gioco oggi, sul tavolo della trattativa.

Si aprano finalmente le discussioni, e si rinunci a questo finto negoziato. Che ha più il sapore di ricatto che di proposta.

E, poi, si rispettino le promesse.

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