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La Deutsche Bank avrebbe occultato perdite per 12 miliardi di dollari

La denuncia di tre ex impiegati del gruppo bancario tedesco rischia di spazzare via il buon nome di una delle poche banche europee uscite apparentemente illese dalla crisi finanziaria. Con conseguenze economiche (e penali) imprevedibili.

Il Behemoth è una creatura leggendaria dell'Antico Testamento, "imbattibile per chiunque tranne che per il suo creatore", Yahweh. "Egli è la prima delle opere di Dio; solo il suo Creatore lo minaccia di spada. Benché i monti gli offrano i loro prodotti e tutte le bestie domestiche vi si trastullino, egli si sdraia sotto i loti".

L'occultista francese Collin de Plancy nel suo Dizionario infernale del 1818 lo descrive come un demone "gran mescitore", dedito alla mescolanza di verità e menzogna. Cerchiamo di tenere a mente questa immagine: un mostro infernale che amalgama il vero e il falso, scompigliando le menti delle sue vittime. 

Il Gruppo Deutsche Bank, invece, è una "banca d'investimento globale con soluzioni finanziarie e servizi bancari per clienti privati, business e istituzionali" (com'è possibile leggere un po' dappertutto sul sito ufficiale del gruppo)."Passion to Perform" recita lo slogan della banca tedesca per eccellenza, il gigante di vetro con sede a Francoforte sul Meno che ha per logo una minimale quanto solida barra blu, come lo slash della tastiera ("/"), per intenderci.

Ora vi chiederete, cosa c'entra l'essere mitico della Bibbia con uno dei gruppi bancari più potenti al mondo? Il paragone, azzeccatissimo, tra i due Leviatani è del giornalista economico Mark Gongloff il quale, in un report pubblicato questa mattina sull'Huffington Post USA, ha ripercorso le tappe dello scandalo che rischia di minare la credibilità di una delle pochissime banche europee abbastanza solide da poter fronteggiare la Crisi, quella con la "C" maiuscola e in grassetto, senza dover ricorrere a sovvenzioni e aiuti governativi.

Alla sede centrale della DB, la Hauptverwaltung, non si deve respirare una bella aria, nonostante tutte le tonnellate di vetro e acciaio che rendono le torri gemelle del quartier generale un capolavoro dell’architettura, e rappresentano idealmente i due pilastri di ogni transazione finanziaria: debito (“soll”, in tedesco) e credito (“haben”).

Un articolo del Financial Times riporta come, tra il 2007 e il 2009, la Deutsche Bank avrebbe insabbiato perdite per la bellezza di 12 miliardi di dollari (9 miliardi e rotti di euro), “truccando” i bilanci. Vale a dire - tanto per rendere l’idea - una cifra pari al doppio dei guadagni che la stessa banca ha racimolato durante tutto il 2011.

Quella che nel 2009 era stata eletta leader mondiale per lo scambio di moneta estera (“foreign exchange dealer”) avrebbe quindi nascosto ai suoi investitori (oltre che alle agenzie di rating) uno scheletro nell’armadio di dimensioni colossali; mescendo vero e falso, proprio come il Behemoth di biblica memoria.

Se il calcolo sui derivati, i “leveraged super union trades” che ammonterebbero a 130 miliardi, fosse stato effettuato correttamente - come denunciano tre ex impiegati del gruppo - la banca sarebbe stata in perdita di oltre 12 miliardi. Abbastanza da dover richiedere il “bail out” statale, un’iniezione di liquidità per cercare di limitare i danni dovuti al profondo rosso.

La portavoce della DB, Renée Calabro, ha replicato alle accuse in una mail all’agenzia Reuters: "Le accuse di inesattezza dei rendiconti finanziari, che risalgono a più di due anni e mezzo fa e vennero divulgate pubblicamente nel giugno del 2011, sono state oggetto di un'attenta e minuziosa investigazione e sono del tutto infondate".

Ora che si sono spalancate le porte dell’inferno, non resta che aspettare la reazione di Yahweh - in questo caso, molto meno sacralmente, investitori e agenzie di rating. Riuscirà la banca, colta in flagranza di peccato, a sfuggire al giudizio di Dio?

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