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La Cesarina, il “campo nomadi” di Roma dove i rom hanno paura

 

Dall’esterno, il campo di via della Cesarina, uno di quelli previsti dal “Piano nomadi” del sindaco di Roma Gianni Alemannopare migliore degli altri: non è enorme come Salone, non è isolato come Castel Romano o La Barbuta; scuole, negozi, autobus sono a distanze umane. C’è un positivo lavoro di collegamento tra gli abitanti e il presidio dell’Azienda sanitaria locale.

A entrarci dentro, però, come ha fatto l’Associazione 21 luglio, cambia tutto.

Ma prima di raccontare questo campo della paura, dobbiamo chiamare in causa la giunta Veltroni.

Nel maggio 2002 le forze di polizia irrompono nell’allora Camping Nomentano, dove trovano 126 migranti senza documenti, costretti – come riporta la stampa romana dell’epoca – a pagare oltre 200 euro al mese per un “posto letto” su un pavimento. Il gestore del camping viene arrestato per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della manodopera”. Uscirà presto.

Nel 2003, il Comune di Roma pensa che quell’area sotto sequestro possa essere utilizzata come “villaggio della solidarietà”: tratta con la proprietà del terreno, Propaganda Fide, e stipula una convenzione con l’affittuario, cioè colui che un anno prima era finito in carcere.

Dal 2003 al 2007, con la chiusura di campi informali, la giunta Veltroni trasferisce alla Cesarina 153 rom bosniaci e 103 rom rumeni.

Così, quando il 31 luglio 2009 entra in vigore il “Piano nomadi” della giunta Alemanno, La Cesarina è già in servizio. Con un piccolo gruppo di rom del Montenegro, si trova a ospitare circa 180 persone, di cui 100 minori, 71 dei quali in età scolare. In totale, 36 nuclei familiari divisi in 40 tra container, roulotte e case mobili. Un terzo di più di quanto prevedono i regolamenti della Regione Lazio del 2008 in materia di “strutture ricettive alberghiere” e “strutture ricettive all’aria aperta” che, in assenza di una legge specifica, il Comune di Roma utilizza come riferimento per la realizzazione dei campi.

Cos’hanno scoperto i ricercatori dell’Associazione 21 luglio dentro al campo della Cesarina?

Intanto, che la gestione è attualmente affidata a una società a responsabilità limitata con sede in via della Cesarina 2, la FI.PI.DA.BI. srl, il cui amministratore unico è… sempre il titolare del Camping Nomentano finito in carcere nel 2002. Secondo la convenzione, stipulata il 1° settembre 2009 (un mese dopo l’entrata in vigore del “Piano nomadi”), la FI.PI.DA.BI. deve gestire “un servizio di controllo e guardiania del villaggio della solidarietà sito in Roma, via della Cesarina 2”, “impegnarsi nella gestione delle utenze collettive” e “controllare il flusso dei movimenti in entrata e in uscita al villaggio al fine di evitare ingressi e presenze non autorizzati”.

La maggior parte delle strutture abitative, chiamiamole così, non risulta munita di collegamento alle rete idrica e fognaria. All’interno della struttura, sono disposti otto wc e altrettante docce in condizioni fatiscenti e inagibili, privi di luce e aria sufficienti.

“Meno male che dietro il campo ci sono i prati per fare i bisogni. Ma bisogna fare attenzione a non incontrare i cani” – racconta un abitante del campo.

E un’altra:

“L’acqua viene calda due ore e neanche sempre. Ci ammazziamo per fare la doccia per primi, perché poi viene fredda”.

La corrente elettrica è un problema enorme. Il voltaggio è tenuto basso, tale da consentire l’uso contemporaneo solo di una lampada a basso consumo e di un televisore.

Se il consumo di corrente elettrica supera il consentito, il soggetto gestore provvede al distacco dell’energia elettrica che, con scopo punitivo, si protrae per diversi giorni.

“Ieri è scattata la luce e adesso non ce l’ho. Me l’hanno tolta fino a dopodomani” – ha raccontato un residente rimasto al buio.

Infatti, “se qualcuno mette una stufetta o si asciuga i capelli, salta l’impianto. Arriva il ‘padrone’ e a questa persona viene tolta la luce per alcuni giorni, tre o quattro giorni come risposta al danno” – secondo un altro testimone.

Il basso voltaggio elettrico a disposizione obbliga gli abitanti, per non crepare di freddo, a dotarsi di bombole di gpl a uso domestico, cosa pericolosissima all’interno delle strutture abitative considerata anche la mancanza, in tutto il campo, di colonne idranti antincendio ed estintori.

Questo, quando fa freddo. D’estate invece vige il divieto di utilizzare frigoriferi e congelatori, ciò che rende difficile la conservazione dei cibi (compreso il latte per i piccoli) con ovvie conseguenze sull’igiene e la salute.

Ma c’è di più. Dalle testimonianze raccolte dall’Associazione 21 luglio è emerso che tutti gli abitanti del “campo” sono obbligati a versare 50 euro al mese a struttura abitativa, in nero (cioè senza ricevuta) al soggetto gestore. Perché? E che fine fanno quei soldi?

Facciamo un po’ di conti. In relazione ai servizi prestati, il Comune di Roma eroga alla FI.PI.DA.BI. 316.800 euro all’anno; altri 144.000 euro vanno all’Opera Nomadi per attività di presidio sociale (quali “accoglienza, segretariato sociale, orientamento dei servizi territoriali, sostegno alla scolarizzazione, avviamento al lavoro”, e anche per “favorire la nascita di una cooperativa rom per l’inserimento sociale e lavorativo, assicurare un presidio sociale h12, svolgere un’azione di vigilanza sulle uscite di minori anche con adulti con sospetto d’induzione alla mendicità o altre iniziative illecite”); 70.000 euro (è una stima) vanno alla Casa dei diritti sociali – Focus per le attività di sostegno scolastico ai 71 minori (che non hanno acqua per lavarsi); 35.000 euro (altra stima) sono destinati all’accompagnamento scolastico a cura dell’azienda comunale dei trasporti (per i romani, l’Atac spa). Aggiungiamoci i 50 euro a struttura abitativa, che fanno in un anno 21.600 euro in nero, senza fattura né ricevuta.

Totale: 587.400 euro all’anno. In altre parole, il Comune di Roma spende ogni anno per ciascun nucleo familiare della Cesarina 16.317 euro. Potrebbero essere spesi meglio, in politiche rispettose dei diritti dei rom (come sta chiedendoAmnesty International al governo Monti). E invece vengono sperperati in questa inutile e illogica politica dei “campi” che, siccome “i rom le case popolari se le scordino” (assessora Belviso dixit), rimane l’unica soluzione per i rom.

Privi di ogni diritto e di ogni tutela, a rischio di espulsione dal campo, i 18 abitanti della Cesarina che hanno accettato di raccontare all’Associazione 21 luglio la loro esperienza hanno espresso la loro profonda paura di ritorsioni. Per questo l’organizzazione, per la prima volta, ha deciso di omettere persino le iniziali dei nomi, l’età e ogni altro particolare che potrebbe favorire l’identificazione dei testimoni.

Il direttore del dipartimento Promozione dei servizi sociali e della salute del Comune di Roma, Angelo Scozzafava, secondo quanto riferisce Paese Sera, dichiara di non avere mai ricevuto denunce scritte di quanto avveniva nel campo della Cesarina. “Giravano delle voci, ma mai nessun nomade (sic) è venuto da noi a parlarci di questa cosa”.

Il Comune di Roma può gettare uno sguardo su quanto accade nel campo della paura?

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