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La guerra asimmetrica

Una sproporzione fra le forze in campo, un eccidio, forse. Non il primo e forse neppure l’ultimo.

Gli storici definiscono “guerra asimmetrica” una guerra in cui le forze militari in campo sono fortemente diseguali, come quella voluta da Bush in Irak o come quella che proprio in questi giorni vede opposti gli israeliani ai palestinesi della striscia di Gaza.

E’ detta asimmetrica perché le forze in campo sono eccessivamente sproporzionate a favore di uno dei contendenti e lo stesso concetto di guerra non ha, in questo tipo di conflitto, lo stesso valore che di solito gli viene attribuito.

Noi consideriamo infatti guerra una lotta armata fra due popoli, due eserciti, due nazioni che si confrontano, si sparano, si uccidono rischiando di subire, alla pari o quasi, le stesse conseguenze dell’altro. E poi, alla fine, uno risulterà vincitore e l’altro perdente: si conteranno i morti per ciascuna fazione e si avrà la soluzione, sempre e comunque, del problema da cui la guerra ha avuto origine. Sia esso un contenzioso territoriale, un problema di sopravvivenza e indipendenza di razze e popoli, o semplicemente una stolta idea di conquista.

E’ sempre stato così fino a qualche tempo fa, almeno fino all’intervento dell’America di Bush nella prima guerra del Golfo quando per la prima volta nella storia la fine della guerra non ha comportato la soluzione del problema. Lo sconfitto Saddam Hussein è rimasto infatti tranquillamente (ma non inspiegabilmente) al suo posto di dittatore ed ha continuato a fare quello che faceva prima cioè uccidere e sterminare curdi e sciiti. Cioè la guerra non ha risolto il problema per cui era nata e giustificata poichè il vincitore non ha avuto l’interesse a cambiare la situazione e la guerra è stata, oltre che asimmetrica, anche inutile, almeno per il mondo e per le numerose vittime civili e militari.

E’ stata forse la prima guerra asimmetrica della storia perché le forze in campo erano sicuramente sproporzionate, nonostante Saddam fosse rimpinzato di armi dai suoi stessi nemici, (poco prima amici e munifici fornitori di tecnologia militare e di strateghi USA), quando il nemico comune era quell’Iran di Khomeini dove stava nascendo il più formidabile integralismo islamico di tutta l’area.

Una guerra che potrebbe essere definita, oltre che asimmetrica, anche “posteroica”.

E’ una guerra cioè in cui viene a mancare anche quel contatto umano, quella relazione interpersonale sia pure distorta perché fra nemici, quelle pulsioni e passioni negative che portano a volte ad azioni barbare, orrende come gli eccidi, lo sterminio di cittadini inermi, di una popolazione civile che ha come unica colpa quella di trovarsi sul cammino degli eserciti in lotta.

E non ci si può affidare nemmeno all’umanità e alla responsabilità del soldato. I valori che abbiamo e che sembrano sacri dalle nostre poltrone televisive non possono essere gli stessi di chi rischia giornalmente la vita, di chi può essere ucciso da un momento all’altro, di chi nemmeno ha il coraggio di pensare al suo futuro tanto questo appare così incerto. Ecco la bestialità della guerra, non solo la distruzione inutile di vite umane ma la trasformazione dell’individuo, la totale perdita dei valori comuni che rendono sacra la vita, che impongono rispetto per le donne, i bambini., le persone inermi. Lo dimostra la storia riportando azioni odiose, eccidi e stragi di innocenti in tutte le guerre e in tutti gli eserciti senza distinzione, sia pure con qualche punta di particolare atrocità che tutti conosciamo.

Comunque, in tutto questo, al centro rimane sempre l’uomo e il suo comportamento, con le sue passioni, le sue crudeltà ma anche con i suoi atti d’eroismo.

Queste invece sembrano guerre appunto posteroiche perchè l’uomo perde il suo valore e lo acquista invece la macchina, la tecnologia.

Nel 2006 un apparecchio telecomandato, un Predator americano, bombarda un villaggio ai confini dell’Afghanistan facendo alcune decine di morti fra cui molte donne e bambini nella disperata ricerca della soppressione fisica del mullah Omar, dato per certo in quel villaggio. L’apparecchio era telecomandato dagli Stati Uniti, a diecimila chilometri di distanza, in una base militare segreta dove il pilota guardava lo schermo televisivo che inquadrava il terreno e il co-pilota sganciava i missili micidiali. Né più né meno di un war games, una battaglia navale dove non c’è posto per il sangue, il dolore, gli affetti, la distruzione, le viscere sparse per i luoghi, gli arti amputati, i bambini sventrati che ancora si domandano cosa sta succedendo e perché.

Lo stesso in una certa misura sta succedendo nel conflitto che in questi giorni sta insanguinando la Palestina.

Un popolo strangolato in una striscia di terra rinchiusa, con una leadership legalmente eletta e autorizzata ma con il grosso neo di avere nello Statuto l’obbiettivo della distruzione dello Stato Ebraico (che impedisce qualunque tipo di approccio per la pace e che trasforma Hamas quasi in un movimento terroristico), sta in questi giorni soffrendo e pagando la enorme superiorità della tecnologia militare ebraica che con la sua artiglieria da campo, con la sua Marina, i suoi elicotteri Apache, i sui missili e i sui caccia nei cieli in assenza di qualunque tipo di contrasto, se non i ridicoli missili Kassam molto più simili a dei fuochi artificiali cinesi che a vere e proprie armi da guerra, sta subendo in questi giorni un attacco più simile ad un eccidio che ad una guerra. Oltre i mille (per ora) morti fra la popolazione palestinese di cui la maggior parte civili inermi (320, a ieri, erano i bambini), contro appena una decina di vittime israeliane.

E’ anche questa una guerra asimmetrica, con solo qualche uscita sul terreno (una città popolosa, caotica, inerme), che speriamo presto possa lasciare il posto ad un cessate il fuoco prima e a negoziati di pace poi che portino, e questo sarebbe ancora più importante, alla soluzione del problema palestinese.

Solo in questo caso una guerra così crudele, con le tantissime vittime civili che ha causato, potrebbe almeno avere un senso, un risvolto positivo come le guerre del tempo antico. Potrebbe cioè portare alla soluzione di questo annoso e difficile problema di rilevanza mondiale, il punto critico di attrito e di scontro permanente fra due mondi e due civiltà che dovrebbero cominciare a parlarsi con il meccanismo della diplomazia invece che con quello odioso e sempre ingiusto delle armi.

Commenti all'articolo

  • Di Claudio (---.---.---.210) 19 gennaio 2009 15:14

    E l’invasione di Etiopia ed Eritrea durante il ventennio?
    Ed il Vietnam ?
    E l’invasione di Austria, Polonia, Olanda da parte di Hitler?
    E l’invasione dei paesi dell’est da parte dellUnione Sovietica?
    Ed il lancio delle atomiche in Giappone?
    E l’occupazione del Tbet da parte della Cina?
    Ed altre ancora fin dall’invasione di quasi tutto il mondo cono sciuto da parte degli imperatori romani ?
    Non Sono state anche quelle " Guerre Asimmetriche " ?
    Forse non ho capito bene io.

  • Di UNODEITANTI (---.---.---.228) 19 gennaio 2009 18:09

    FORSE MI E’ SFUGGITO QUALKE PARTICOLARE, NESSUNO HA STRANGOLATO I PALESTINESI A GAZA IL TERRITORIO E’ STATO CEDUTO A LORO, E SONO STATI I LORO GOVERNANTI A SPARARE I MISSILI SU ISRAELE, KE HA REAGITO, OVVIAMENTE. SE LEI FOSSE STATO SU UNA CITTA IN CUI CADONO MISSILI, SI DIVERTIREBBE?? TUTTO QUELLO KE SUCCEDE E’ COLPA DEGLI STATI ARABI A CUI FA’ COMODO AVERE UN MOTIVO X FARCI PESARE TUTTO, ISRAELE STESSA KE FINO A QUALKE TEMPO FA’ CI GIOSTRAVA, X NON PARLARE DEGLI ESTREMISTI ISLAMICI KE, USANDO QUELLI KE ABBIAMO IN CASA NOSTRA X PIETA’ E COMODITA’, ANKE LORO, STANNO SOLLEVANDO UN POLVERONE, DA CUI SI ASPETTANO MOLTISSIMO. NOI ITALIANI ABBIAMO UN’ OPPOSIZIONE ANKE ESTREMISTA, KE STA’ CERCANDO DI GUADAGNARCI SOPRA. LA GENTE E’ STUFA DI TUTTO CIO’, LA MAGGIORANZA SILENZIOSA KE NON HA MODO DI FARSI SENTIRE. I BAMBINI E LE DONNE UCCISE, SONO ATTORI VOLONTARI E COSCENTI DEI LORO GUAI, COME I KAMIKAZE. ORMAI FA’ PARTE DELLA LORO VITA. 

  • Di Truman Burbank (---.---.---.7) 19 gennaio 2009 23:57

    Un negro dell’Alabama viene condannato a morte per aver osato guardare una donna bianca. Ma la pena gli viene commutata in uno scontro singolare, di tipo gladiatorio, che dovrà tenersi in uno stadio di baseball pieno di gente. Il negro, dopo essere stato incatenato, viene sotterrato fino al collo nell’arena, e qui viene liberato un leone. Il leone si dirige subito verso il pover’uomo e cerca di azzannarlo, ma questo con agili mosse riesce a evitare le fauci e gli artigli del terribile predatore, finché con uno scatto fortunato riesce a mordergli i testicoli. Il leone fugge guaendo di dolore. La folla allora, indignata, gli urla:
    "sporco negro, combatti in modo leale!"

    (dal blog di Gianluca Bifolchi, l’originale è di Antonio Caballero, giornalista colombiano)
     

  • Di Trilussa (---.---.---.191) 23 gennaio 2009 11:45

    L’articolo non voleva prendere parte. Condannava l’intervento israeliano per la sproporzione delle forze in campo ma, leggendo con attenzione e non per posizione presa, considerava Hamas come forza di ostacolo alla soluzione del problema. L’articolo voleva solo auspicare una soluzione del problema palestinese ed evidenziare il vero sconfitto della guerra e cioè il popolo, sempre uguale in ogni parte del mondo.

    • Di Truman Burbank (---.---.---.107) 25 gennaio 2009 17:49

       Quando in un conflitto c’è un enorme squilibrio di forze, chi non prende posizione aiuta il più forte.

    • Di Trilussa (---.---.---.191) 26 gennaio 2009 16:47

      Per prendere parte con cognizione di causa occorre una conoscenza che molti non hanno, ed io non ho. L’articolo prende una parte, ma non quella delle due forze in causa, bensì quella dei più indifesi. Quella del popolo dalle cui case (ora distrutte ) Hamas scagliava i suoi missili e su cui si abbattevano le bombe al fosforo di Israele. Forse è uno di quei casi in cui questa è la sola parte da prendere, quella del popolo palistinese che non ha un solo nemico, ma molti nemici e poco onore.

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